Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: legge elettorale, Matteo Renzi, referendum, riforme costituzio
Url fonte: https://www.facebook.com/notes/michele-prospero/il-viale-del-tramonto-del-renzismo/1026658727396191
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di Michele Prospero – 12 gennaio 2016
C’è un sondaggio Ixé-Agoràche che sollecita qualche riflessione. Dice che il Pd, sebbene in calo, è comunque più popolare del suo leader, di 4 punti. Il mito del capo, come il solo portatore di un consenso personale travolgente, si sta afflosciando. Le canonizzazioni del comandante, come garante di successo in virtù di uno sfondamento legato alla solitudine della leadership, si rivelano affrettate.
Oltre che sul piano dell’azione di governo, anche sulle fortune elettorali del suo partito l’impatto del capo solo al comando comincia ad essere misurato come problematico. Il governo della propaganda due punto zero raggiunge risultati sensibilmente inferiori a quelli registrati da altri esecutivi europei. E persino un giornale amico, come “Il Sole 24 ore”, comincia a fare comparazioni impertinenti tra annunci e risultati e a fornire impietosi responsi.
La popolarità del premier è in caduta. Eppure non esiste più il sistema quadripolare emerso con il voto del 2013. Quasi tutti i deputati di Scelta civica sono passati al Pd, e quindi un potenziale 10 per cento dell’elettorato è entrato nell’orbita del Nazareno. Forza Italia è polverizzata e almeno il 15 per cento dei suoi elettori è in mobilità.
Insomma, in astratto esiste un terreno fertile per il partito della nazione che però non si traduce in conquista di voti. Con il 25 per cento del corpo elettorale in fluttuazione, il Pd dovrebbe essere segnalato in una formidabile ascesa. E invece è in palese difficoltà. Non a caso le prossime elezioni amministrative sono derubricate dal premier ad appuntamento secondario, proprio per attutire in anticipo i colpi dello schianto annunciato.
Logorato dalla rottura con il sindacato, con il mondo della scuola, abbandonato dalle regioni rosse spaesate dinanzi alle scelte di governo, una spina insidiosa è spuntata all’improvviso con lo scandalo Etruria. L’accumulazione originaria di dominio è svelata nelle sue avide mosse dalle inchieste che raccontano le condizioni antidiluviane del potere gigliato.
Si narra dell’azione di un comitato d’affari della piccola borghesia, una micro casta che mette insieme un po’ di imprese, un tocco di occulto, qualche banca utile per distribuire finanziamenti e fidi. Si organizza così un ceto politico territoriale coeso, con fondazioni opulenti e legami di fedeltà che si spinge sino al governo, che crede di blindare le pratiche di potere con consulenze, incarichi strategici, nell’illusione di blandire ogni controllo.
Al governo dei grandi interessi aziendali presieduto da Berlusconi si sostituisce un potere orchestrato dalla piccola borghesia della provincia toscana che riesce a ottenere i sostegni giusti per scalare il partito maggiore e con il controllo delle sue truppe accasarsi a Palazzo Chigi. I risparmiatori colpiti nella loro “roba” emanano però un ronzio fastidioso per il potere gigliato con la loro protesta che non si placa.
Lo scandalo Etruria restituisce il renzismo alla sua genetica dimensione territoriale e il romanzo delle origini sovrasta come un incubo il sogno di grandezza grazie ai tweet. Lo iato tra la fiducia nel capo e il consenso al Pd restituirà forse un po’ di coraggio alle timide minoranze interne. E un effetto sui riluttanti avrà l’onda negativa sprigionata dalle consultazioni amministrative.
Con il 55 per cento dei tesserati in meno, con decine di sezioni o chiuse e in vendita, con il riaprirsi dei giochi interni che forse indurranno la minoranza a non sacrificarsi per la Danzica referendaria, la capacità effettiva di mobilitazione nei territori da parte del Pd, per affrontare trionfalmente il plebiscito che ha convocato, potrebbe risultare molto inferiore a quanto minacciato.
Il gioco di Renzi è il solito. Ripetere nel plebiscito la classica litania anticasta, contenuta già in un suo manifesto delle origini, che recitava: “Abbasso la politica ingessata”. Dopo quasi tre anni di potere, il desiderio di plebiscito del capo del governo che gioca a castigare la casta potrebbe però ricevere sberleffi. La Carta potrebbe farcela ancora una volta. E a ottobre i gufi potrebbero davvero spiccare il volo ,sul far del crepuscolo del renzismo.