Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: https://www.facebook.com/notes/michele-prospero/un-presidente-emerito-sul-carro-del-premier/1024381107623953
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di Michele Prospero (Il Manifesto del 07 gennaio 2016)
È molto interessante l’intervista di Giorgio Napolitano al Corriere della sera perché svela, tra le altre cose, un particolare intreccio tra istituzioni e media che si è consolidato negli ultimi anni. Anzitutto colpisce (come rivelatrice di un clima che tende a coprire, sviare, manipolare) una domanda formulata da Marzio Breda, quirinalista tra i più autorevoli.
Vale la pena trascriverla: «…senza contare il referendum confermativo, che per qualcuno Renzi vorrebbe trasformare in un plebiscito su di sé e al quale lega il proprio futuro politico». E’ impensabile che Breda non conosca le innumerevoli dichiarazioni del presidente del consiglio, che da mesi annuncia il referendum, come scelta salvifica. Con parole in libertà, anche il ministro Boschi ha spesso annunciato: «importante è rispettare l’impegno assunto per tenere la consultazione referendaria nel 2016». Con chi ha concordato l’appello al popolo sovrano e a quale titolo?
Il referendum rientra nella strategia politica del governo. Perché allora il riferimento di Breda a «qualcuno» che attribuisce a Renzi un’intenzione non sua? Ecco cosa ha dichiarato il presidente del consiglio, appena qualche giorno fa, in conferenza stampa per giunta: «l’undici gennaio le riforme saranno votate dalla camera e ragionevolmente si andrà a stretto giro al senato e poi immaginiamo il referendum a ottobre 2016».
Il termine chiave della frase è «immaginiamo», cioè il governo assume la prospettiva del referendum, ne fissa persino la data. Questo annuncio crea un imbarazzo inevitabile in chi ha qualche dimestichezza con le consuetudini e le regole costituzionali. E pertanto Napolitano deve rammentare che il referendum confermativo «non è automatico e non è il governo che lo promuove». E’ vero, ma il presidente del consiglio parla come se il governo fosse titolare dell’iter delle riforme e anche il regista del pronunciamento dei cittadini, al posto dell’opposizione.
Di sicuro si tratta di una forzatura della correttezza istituzionale. Napolitano auspica che si giunga ad un confronto oggettivo sul merito della riforma. E suggerisce, per questo, di non farne «materia di scontri politici personalizzati». E però l’invocazione alla correttezza della competizione non può essere così astratta. Per avere il corretto quadro della situazione, bisogna rammentare la frase della conferenza stampa di fine anno del presidente del consiglio: «se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza in politica». Parole pesanti, e forse anche imbarazzanti, dal punto di vista costituzionale.
Non è «qualcuno», gufi o animali esotici, a dire che si sta celebrando un plebiscito. E’ Renzi che ne parla in maniera esplicita come di un pronunciamento definitivo circa la sua esperienza politica: «la leadership ha senso» se porta a compimento «la grande, grande, grande riforma» del senato. E’ incauto presentare in questo modo un referendum confermativo. Ma le immagini irresponsabili, e le uscite dilettantesche che annunciano un giudizio divino, sono uscite dalla viva bocca del presidente del consiglio.
Ora è indubbio che, dopo l’apertura di uno scontro che per oggetto ha la vita del governo, e nientemeno la carriera politica del presidente del consiglio, una cappa di plebiscitarismo si è addensata nella politica italiana. Proprio Renzi ha rafforzato le sue parole in un’intervista al Mattino nella quale ribadiva che il referendum è la conferma di quelle che lui presenta come scelte del governo: legge elettorale, riforma costituzionale e persino elezione del capo dello Stato. Queste le sue parole: «sulla costituzione sono pronto a giocarmi il posto». Più plebiscito di così. E, invece di censurare questa torsione personalistica, la si attribuisce a «qualcuno», a avversari di Renzi. Incidentalmente Napolitano annuncia il suo voto favorevole alla riforma, dopo aver già accettato il riconoscimento di una certa paternità sulla legge elettorale. Così, però, garantendo il soccorso a Renzi, invece di raffreddare il confronto, ne acuisce la politicizzazione. Cosa spinge un presidente emerito a salire sul carro di un premier che minaccia gesti politici estremi («se perdo il referendum…») e misconosce l’abc del costituzionalismo («farò campagna elettorale per il referendum istituzionale»)?