Fassina: “L’euro è uno strumento di dominio economico e politico”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Fioretti e Francesco Fumarola
Fonte: La Città futura
Url fonte: http://www.lacittafutura.it/economia/intervista-a-stefano-fassina-europa-euro-e-alternativa-al-liberismo.html

Stefano Fassina: “L’assetto ‘costituzionale’ dell’Eurozona e l’euro sono articolati sul principio di deflazione salariale, di svalutazione diretta ed indiretta, ossia attraverso la menomazione del Welfare, del Lavoro. Nell’impianto liberista dei Trattati il fine è la stabilità dei prezzi. La politica è ancillare gli interessi economici più forti. L’intervento pubblico è confinato alla difesa ed alla sicurezza e, nel migliore dei casi, all’assistenza dei poveri.”

di Andrea Fioretti e Francesco Fumarola

Intanto, Stefano, grazie per aver accettato l’intervista. Partiamo da un paio di considerazioni.

La prima: l’esito del Referendum del 5 Luglio scorso in Grecia aveva suscitato molte speranze in Europa sul fatto che un Popolo potesse ribellarsi alle politiche di austerity imposte dalla Trojka ed applicate dai Governi nazionali dell’Eurozona. Un esito indiscutibile ed una richiesta chiara: recuperare la sovranità popolare in nome di una clausola sociale anticrisi, perché di fronte ad una crisi economica e sociale devastante la Grecia, come ogni Paese sovrano, ha il sacrosanto diritto di reclamare la difesa dei salari e dei posti di lavoro, e non degli interessi delle banche e dei creditori internazionali.

La seconda: le discutibili scelte di Tsipras dei giorni successivi [l’accettazione di un nuovo memorandum della Troika, ndr] e il vero e proprio “golpe finanziario” della BCE, che chiudendo i rubinetti della liquidità alle banche puntò la pistola alla tempia del Governo greco, tagliarono subito le gambe alle aspettative popolari.

Da quel Referendum e dai successivi fatti politici ne è scaturito un dibattito a sinistra, in Italia come in Europa, il cui tema è grossomodo questo: è possibile oppure no, restando all’interno dei vincoli dell’eurozona, applicare politiche di redistribuzione, di investimenti pubblici, di sostegno ai salari, di contrasto a precarietà, disoccupazione e disuguaglianze sociali?

Alla Fête de l’Humanité di Parigi nel Settembre scorso, proprio discutendo delle vicende greche, è stata presentata la proposta Un Piano B per l’Europa, che hai lanciato insieme ad Oskar Lafontaine [ex ministro delle finanze tedesco, fondatore diDie Linke], Jean-Luc Mélenchon [parlamentare europeo del Front de Gauche e co-fondatore del Parti de Gauche] e Yanis Varoufakis [ex ministro delle finanze diSyriza nel primo governo Tsipras].

DOMANDA. Quali sono gli obiettivi che vi proponete con questo Manifesto, quale è la vostra interpretazione di questi fatti e quali sono i prossimi passaggi pubblici previsti?

RISPOSTA. La lunga contrazione economica, la regressione sociale dei Paesi periferici dell’Eurozona e la normalizzazione liberista della democrazia e del Governo greco dimostrano che l’euro è uno strumento di dominio economico e politico da parte di un’oligarchia europea che si fa schermo del Governo tedesco e della Cancelliera Merkel. Questo modello di Unione europea causa l’avanzata dell’estrema destra: il voto regionale francese, pur sotto l’effetto del terrorismo, ne è una drammatica conferma. Gli spazi alle destre nazionalistiche e xenofobe sono stati infatti aperti dalle politiche liberiste che hanno svalutato il lavoro, per chi ce l’ha e per chi lo cerca; hanno ridotto il potere democratico dei Paesi; hanno imposto pesanti passi indietro sulla qualità e l’estensione dello Stato sociale ed aggravato le insopportabili diseguaglianze impoverendo i ceti medi e popolari. È tutto questo che allontana i ceti popolari, l’intellettualità democratica e le forze del lavoro dalla Politica, dai Partiti tradizionali e dalle istituzioni democratiche. Questa situazione va rovesciata urgentemente. Per farlo occorre avere ben fermi alcuni obiettivi: attuazione di politiche di redistribuzione della ricchezza; creazione di opportunità di lavoro dignitoso, specialmente per i giovani; transizione ecologica; ricostruzione della partecipazione democratica; riscrittura del Fiscal compact e blocco del Trattato commerciale con gli Stati Uniti, il TTIP. Ovviamente per realizzarli occorre rompere con quest’Europa, superare gli attuali trattati europei e rimodellarli al fine di avviare una transizione per il superamento del neoliberismo. Dopo l’assemblea di settembre, la Conferenza per un Piano B era prevista a Parigi per il 14-15 Novembre scorso, ma è stata ovviamente rinviata a causa dei tragici attacchi terroristici del giorno precedente. Si svolgerà il 23-24 Febbraio 2016 sempre nella capitale francese. Due osservazioni su questo dibattito che avete lanciato:

1- nella lettera dell’Ottobre scorso indirizzata alla sinistra italiana Oskar Lafontaine scrive che “voler cambiare i trattati [attendendo] la formazione di una maggioranza di sinistra in tutti i 19 Stati membri è un po’ come aspettare Godot, un autoinganno politico”;

2- il Piano B del vostro Manifesto pone chiaramente al centro una riflessione importante: “che l’euro e l’UE difendano gli Europei dalla crisi è oggi un’affermazione pericolosamente falsa. È un’illusione credere che gli interessi dell’Europa possano essere protetti entro la gabbia di ferro delle “regole” di governance dell’eurozona ed entro i Trattati vigenti.”

D. Siamo di fronte alla presa d’atto del tramonto del cosiddetto Piano A [il tentativo di negoziare il cambiamento dei trattati, ndr] e che occorra abbandonarne velocemente l’illusione visto che Godot si farà attendere ancora per molto?

R. Secondo me Piano A e piano B non vanno considerati come strategie diverse: il Piano B è, innanzitutto, strumentale al Piano A, ossia ha come primario obiettivo la riscrittura dei Trattati e la ridefinizione dell’agenda politica. È evidente che di fronte all’irrigidimento dei Paesi beneficiari dello status quo, come la Germania, il Piano B diventa la via maestra per riconquistare un minimo di sovranità democratica.

D. In seno alla sinistra italiana è tuttora rilevante una certa illusione a voler cambiare le politiche europee stando dentro le regole dei trattati. Anche in virtù della tua esperienza politica svolta nel Partito Democratico ci puoi chiarire brevemente perchè politiche di sinistra fatte di redistribuzione verso il basso, di investimenti pubblici, di rilancio di salari, pensioni e lavoro stabile, siano inconciliabili con i vincoli di Maastricht, con il Fiscal Compact, con il Patto di Stabilità e con la spada di Damocle delle sanzioni agitate dalla Trojka, che palesemente si muove al di fuori di ogni controllo democratico?

R. Perché l’assetto “costituzionale” dell’Eurozona e l’euro sono articolati sul principio di deflazione salariale, di svalutazione diretta ed indiretta, ossia attraverso la menomazione del Welfare, del Lavoro. Nell’impianto liberista dei Trattati il fine è la stabilità dei prezzi. La politica è ancillare gli interessi economici più forti. L’intervento pubblico è confinato alla difesa ed alla sicurezza e, nel migliore dei casi, all’assistenza dei poveri. Il modello a cui fa riferimento questa UE quindi sembra unicamente quello della competitività internazionale dell’Eurozona basata sulle capacità di traino dell’economia tedesca e delle sue esportazioni. E’ però un fatto che se il treno è quello, alla compressione dei salari e del Welfare operati dalla motrice Germania segua gioco-forza quella ancora più selvaggia degli altri vagoni, in primis dei Paesi dell’Europa del Sud, con il risultato che l’economia dominante tedesca (dati Eurostat) è riuscita grossomodo a tutelare i suoi livelli di produzione industriale mentre l’Italia ha perso una quota del 25%, la Spagna del 30% e la Grecia addirittura del 35%.
Inoltre l’indebitamento delle banche viene sempre scaricato sulle spalle degli Stati, costretti a nuovi tagli e privatizzazioni oltreché al rispetto dei “vincoli europei”. In qualche dichiarazione stampa lo stesso Renzi ha fatto finta di protestare un po’ ma alla fine, col plauso di Confindustria, ha applicato tutte le misure di austerity richieste. Questo non ha prodotto però una proposta alternativa reale a sinistra al modello liberista renziano.

D. È una mancanza di analisi della sinistra politica italiana che non ha saputo leggere a dovere la fase o vi sono anche altre responsabilità che spiegano questo ritardo storico nell’opposizione alle politiche di austerità oggi portate avanti dal Partito della Nazione di Renzi?

R. Il Partito della Nazione è il tentativo di raccogliere forze ovunque collocate su un asse sociale e culturale di centro per gestire i grandi interessi. In più certamente c’è stato un ritardo culturale delle forze della sinistra socialista e democratica europea e nazionale: a sinistra, infatti, si pensava che il proprio ruolo fosse solo quello di limitare i danni sociali del liberismo, con il risultato di cambiare collocazione politica e sociale. Si polemizzava contro la fine della storia ma non si aveva il coraggio di indicare società diverse e alternative a quella del libero mercato: ciò è stato drammaticamente vero quando, davanti alla crisi mondiale del 2008, la sinistra non ha avuto la forza di alzarsi e di indicare un sbocco. E oggi si rischia di fare lo stesso davanti al riscaldamento del pianeta. Del resto è lo stesso Papa Francesco che richiede un cambiamento di modello di sviluppo che sappia coniugare il grido della terra con quello dei poveri. La questione appunto è il cambiamento, non la gestione del tardo liberismo.

D. Stefano, parliamo allora di Programma, secondo noi la cartina di tornasole di ogni ragionamento politico. A tuo avviso, quali dovrebbero essere i temi e le misure minime da inserire in un’agenda di fase in cui possa riconoscersi quel “frente amplio” della sinistra sociale e politica italiana che intende chiudere con la stagione delle politiche di austerity?

R. Le politiche sono quelle che servono al Paese, ad un Paese progressista e giusto. Servono politiche per il lavoro centrate sull’innovazione e la sostenibilità ecologica, e ciò implica un salto nella qualità del tessuto industriale e dei servizi, richiede un nuovo modello energetico e della mobilità. La priorità va data al Mezzogiorno, al rilancio delle produzioni agricole e della trasformazione alimentare; va creato il mercato del recupero dei materiali dai rifiuti e va posta una particolare attenzione alle aree urbane e alle periferie per fermare il degrado sociale, per azzerare il consumo del suolo, per riorganizzare i servizi, la rete idrica ed idraulica e per un uso sociale degli immobili. La centralità va data al patrimonio artistico, archeologico e monumentale, alla difesa del suolo; i parchi, le aree protette ed il mare sono beni comuni ed ecosistemi preziosi da tutelare. Una delle condizioni necessarie è fare un balzo nella ricerca e nella sua trasmissione sociale per costruire nuove opportunità di lavoro basate sul digitale, la condivisione e l’innovazione tecnologica. Per questo serve una nuova politica incardinata in un nuovo tipo di Stato, più presente ed in grado di garantire il Welfare. Però bisogna tenere in considerazione il fatto che ormai in Italia centrodestra e centrosinistra non sembrano distinguersi più e propongono più o meno le stesse ricette a salvaguardia del modello capitalistico all’interno dell’Eurozona: anzi, spesso governano insieme in un modello che qualcuno [Domenico Losurdo, ndr] chiama monopartitismo competitivo. In altri paesi europei la destra populista e più reazionaria si rafforza, perché mette in discussione l’euro ed i Trattati europei, seppure da un punto di vista nazionalista e regressivo; le sinistre di alternativa avanzano in quei Paesi – come il Portogallo e la Grecia, e lasciamo per un momento da parte la questione se siano in grado oppure no di realizzare dal Governo dei rispettivi Paesi ciò che hanno promesso – dove sono stati in grado di porre l’accento sull’insostenibilità della gabbia dell’euro e dei diktat dei Trattati.

D. Visto che nessuno pensa si tratti di una coincidenza fortuita, quanto può essere utile sciogliere prima e definitivamente il nodo della nostra collocazione strategica in Europa e nell’eurozona, se dentro o fuori, per poter rilanciare una sinistra italiana – al di là delle formule organizzative – realmente alternativa su quelle basi?

R. Affrontare il problema non solo è utile, ma decisivo. Tuttavia non si può fare a tavolino e nemmeno si può rimanere prigionieri del determinismo economicista. Il nesso nazionale-internazionale, come Gramsci ha insegnato, non è solo Economia ma si articola in una pluralità di dimensioni. Se rilevasse soltanto la dimensione economica, il voto del 20 Settembre in Grecia sarebbe interpretabile soltanto con la categoria del masochismo. Non è così. Certamente a sinistra sembrano esserci da qualche tempo anche altre riflessioni interessanti, o quanto meno coraggiose. Oltre al cosiddetto “Piano B” del Manifesto di Parigi, di cui abbiamo parlato, pensiamo al dibattito tra economisti critici, marxisti o neo-keynesiani sulla necessità di mettere comunque in conto la possibilità che l’uscita dall’euro sia prima o poi inevitabile (per motivi di “sopravvivenza”, concordata o meno con altri, se non addirittura per scelta “guidata” dai poteri forti del capitalismo europeo) e che quindi bisogna ragionare fin da subito su possibili uscite da sinistra. Altri ancora pongono la questione di proporre a livello di massa da subito una rottura unilaterale con le “gabbie” di UE, Euro, NATO e TTIP come precondizione per un’alternativa credibile al modello liberista del capitalismo odierno. Quello che accomuna questi ragionamenti, almeno così ci sembra, è la comune attenzione a rispondere alle critiche che, da destra e da sinistra, vedono come “catastrofica” l’uscita dall’euro per via dei possibili effetti nefasti della “svalutazione competitiva” sul potere d’acquisto di salari e pensioni: alcune proposte vanno nella direzione di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, di reintrodurre la scala mobile, di imporre il controllo pubblico sui movimenti dei capitali e delle risorse, ecc…

D. Sei d’accordo con chi ritiene che queste riflessioni, che tentano di attualizzare alle condizioni odierne il dibattito della Storia del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, vadano sostenute fin da subito nel dibattito per la costruzione di nuove aggregazioni della sinistra, comunque le si intenda?

R. Le politiche rigoriste dell’Eurogruppo, che sono la catastrofe attuale, vanno superate o la crisi dell’UE si farà irrecuperabile, al di là di ogni volontà. Il vero pericolo, se si ritardasse ancora, è che le forze popolari precipitino nella disperazione e nella sfiducia, per cui potrebbero esser disposte anche a fare salti nel buio. Le nuove aggregazioni a Sinistra, che dobbiamo realizzare e già si intravedono, sono il vero antidoto ai populismi di Destra e di Centro. Non c’è dubbio che il nesso tra interesse nazionale e dimensione europea sia decisivo per formare la cultura politica necessaria a ricostruire la soggettività politica del Lavoro.

D. Un’ultima domanda, Stefano. Risposta secca, se possibile. Alla luce di tutte queste riflessioni: “Fuori dall’euro oppure no?”

R. Una domanda così formulata non è ricevibile sul terreno politico. Una risposta politicamente sensata deve essere condizionata.

Grazie per la disponibilità e buon lavoro!

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