Fonte: www.sbilanciamoci.info
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L’esistenza di un rilevante livello e di una ulteriore e apparentemente inarrestabile crescita dell’indebitamento mondiale è un fenomeno molto evidente; ora, il suo collegamento, per diverse vie, alle difficoltà e al rallentamento dello sviluppo dell’economia, nei paesi sviluppati come in quelli emergenti, pone dei rilevanti problemi di analisi e suggerisce anche delle possibili linee di azione. Nelle tre puntate di questo articolo cercheremo di individuare la situazione e le prospettive di soluzione di una questione cruciale.
Alcuni dati di base
Già in uno scritto apparso in questo stesso sito qualche tempo fa (Comito, 2015) ricordavamo alcuni dati che danno un’idea del fenomeno; ad essi ne aggiungiamo ora degli altri, più analitici.
Nel testo citato ricordavamo, in particolare, un rapporto Mckinsey (Mckinsey, 2015) del febbraio di quest’anno, che forniva delle informazioni di base sulla situazione.
Il debito complessivo a livello mondiale aveva raggiunto alla fine del 2014 il livello di 200 trilioni di dollari, essendo aumentato di ben 57 trilioni soltanto nel periodo tra il 2007 e il 2014. La sua incidenza sul pil mondiale raggiungeva ormai alla stessa data il 286%, contro il 270% del 2007. Si ha la sensazione, peraltro ancora non ancora suffragata da dati aggiornati, che la tendenza all’aumento sia proseguita nel 2015.
Se vogliamo guardare anche allo specifico andamento dell’indebitamento nelle varie aree del mondo, ci vengono questa volta in soccorso, ad esempio, i dati forniti dalla Royal Bank of Scotland (Vittori, 2015).
Secondo tale studio, il livello dei debiti statunitensi superava i 20 trilioni di dollari nel 1997, per arrivare ai 50 trilioni nel 2009 e avvicinarsi oggi ai 60; in Europa si passava dai 20 trilioni del 2000 ai 40 nel 2009, peraltro con una leggera diminuzione negli ultimi anni; per quanto riguarda poi in specifico l’eurozona, il debito pubblico era cresciuto dal 66% del pil nel 2007 al 95% nel 2013, con Grecia, Italia, Portogallo, Irlanda con valori ben superiori al 100%. Per quanto riguarda i paesi emergenti, l’indebitamento complessivo è cresciuto dal 150% del pil nel 2009 al 195% di oggi. I prestiti bancari, sempre negli stessi paesi, sono passati dal 77% del pil nel 2007 al 128% agli inizi del 2015 (The Economist, 2015, a). In Cina, a fronte dei 10 trilioni di debiti complessivi del 2009 stanno i 30 trilioni di oggi. Nel frattempo il solo debito pubblico lordo giapponese si aggira ormai intorno al 250% del pil.
Sembra, tra l’altro, che l’eurozona segua in qualche modo il modello giapponese di gestione della crisi post-bolla, che è quello di arrabattarsi alla meno peggio sulla questione. Per altro verso, si può dire che i politici europei rimangono ciechi di fronte all’evidenza che il problema del debito non è risolto.
I debiti rallentano oggi lo sviluppo
Gli alti livelli dell’indebitamento stanno contribuendo ad offuscare lo sviluppo dell’economia mondiale, anche se non ne sono la sola causa. Così il Fondo Monetario Internazionale, nell’ottobre 2015, ha tagliato le previsioni di crescita a livello globale per il 2015 portandole al 3,1%, contro il 3,3% stimato precedentemente; bisogna poi anche ricordare che il dato del 3,1% sarebbe, tra l’altro, abbastanza inferiore al 3,4% del 2014 e che siamo, in ogni caso, ben lontani dai livelli che si raggiungevano solo qualche anno fa.
Lo stesso Fondo Monetario, peraltro, appare più ottimistico per quanto riguarda il 2016, anno per il quale esso prevede un tasso di aumento del pil del 3,6%. Ma, tra gli altri, l’Economist (The Economist, 2015, b) sottolinea come, data anche la situazione dell’indebitamento mondiale, tale previsione sia abbastanza ottimistica e sostanzialmente irrealistica. La lezione dei cicli passati di indebitamento suggerisce come appaia più probabile, invece, un altro anno di rallentamento economico. Personalmente suggeriremmo un incremento del pil per l’anno prossimo al massimo intorno al 3,2%.
Il sostanziale ridimensionamento della crescita economica frena poi, a sua volta, la soluzione del problema del debito. E’ noto come sia infatti più facile restituire delle somme in periodi di alti tassi di sviluppo dell’economia e in presenza di un elevato livello di inflazione, cose che mancano oggi crudelmente all’appello, mentre appare anche difficile sperare in sostanziali miglioramenti a breve nell’andamento delle due variabili.
Un percorso sinuoso e perverso dei movimenti di capitale
Sullo sfondo delle difficoltà odierne stanno l’ondata di deregolamentazione, il processo di innovazione finanziaria, la globalizzazione, che hanno fatto grandi passi in avanti negli scorsi decenni. Così oggi il denaro circola ormai molto facilmente nel mondo.
In tale quadro, le crisi finanziarie e poi economiche degli anni ottanta in America Latina e, soprattutto, degli anni novanta in Asia, centrate in particolare sulle difficoltà di gestione dell’indebitamento pubblico, hanno spinto i paesi di tali aree a politiche molto prudenti sul fronte finanziario.
In particolare, esse hanno a suo tempo convinto numerosi paesi emergenti asiatici, con in testa la Cina, a creare dei rilevanti eccedenti nelle loro bilance commerciali per accumulare così adeguate riserve valutarie al fine di parare i colpi delle possibili difficoltà in campo finanziario. Questi eccedenti verranno poi riciclati verso i paesi avanzati, soprattutto sotto la forma di prestiti.
Queste risorse contribuiranno così all’esplosione del mercato finanziario in occidente, in particolare negli Stati Uniti. La stagnazione del potere di acquisto delle masse e lo sviluppo delle diseguaglianze in tale paese minacciavano in effetti di bloccare la crescita dei mercati delle merci; ma il parallelo aumento del potere della finanza e lo sviluppo dell’innovazione in tale settore, aiutati anche dai forti influssi di denaro dall’Asia, avevano portato alla soluzione del problema attraverso una grande crescita del credito – si è trattato di un ciclo finanziario senza precedenti nella storia. E poi, ormai quasi dieci anni fa, era giunto il crollo del mondo del subprime
Nel frattempo il sistema finanziario statunitense era riuscito a scaricare una parte del peso dei crediti dubbi sul sistema bancario europeo. Nel nostro continente, tale problema, insieme ad alcuni fattori di debolezza locale, quali la crisi greca, porteranno successivamente anche in tale area allo scoppio della bolla del debito. In questo caso essa era alimentata, più che dal denaro asiatico, che pure non mancava, anche e soprattutto dagli eccedenti della bilance commerciali tedesche, in parte, in effetti, riciclate verso l’immobiliare spagnolo e irlandese, i titoli greci, i prestiti a privati nell’Europa dell’Est.
Con la crisi dei mercati finanziari occidentali e il pratico annullamento dei rendimenti del denaro per cercare di contenere le difficoltà delle economie ricche, i capitali eccedenti cominciavano così a dirigersi verso i paesi emergenti, considerata anche la forte dinamica del pil in tali regioni; in particolare, erano le grandi imprese dell’area che prendevano soldi a prestito a tutto spiano, anche per finanziare purtroppo progetti dubbi o acquisti di assets a prezzi fuori controllo (The Economist, 2015, b). Si stima che da quando nel 2008 la Fed ha avviato il suo programma di Quantitative Easing, ben 7 trilioni di dollari siano arrivati nei paesi emergenti.
Ma ora le difficoltà economiche in particolare di alcuni di essi, nonché le erratiche politiche monetarie statunitensi, solo mirate agli stretti e contingenti interessi nazionali, trascurando di considerare che il dollaro è il principale strumento di liquidità dei vari paesi, spingono gli stessi investitori a fuggire questa volta verso occidente. Tale esodo contribuisce così a scatenare una nuova bolla, che potrebbe avere rilevanti conseguenze sul fronte dell’economia reale, anche se per la verità i paesi emergenti hanno oggi strumenti di protezione molto più forti di qualche decennio fa.
L’Institute of International Finance prevede che il 2015 sarà il primo anno di uscite nette di capitali da tale area dal 1988 ad oggi; inoltre il flusso di investimenti stranieri si dimezzerà in rapporto al 2014 -490 miliardi di dollari contro 1.074 nell’anno precedente (Strohecker, 2015).
All’interno dei paesi sviluppati e di quelli emergenti esistono oggi, comunque, delle situazioni in ogni caso molto differenziate. E’ per questo che nella seconda puntata di questo articolo analizzeremo, tra l’altro, alcune tra le più importanti situazioni specifiche cui ci troviamo di fronte. In altri termini, ci sono paesi più e meno indebitati, con la prevalenza di debiti pubblici o privati, con prospettive di crescita e di inflazione, e quindi di soluzione del problema, anch’esse molto differenziate. Così, ad esempio, nel campo dei paesi in via di sviluppo, la situazione appare molto diversa tra paesi quali la Cina e il Brasile, mentre in quelli sviluppati abbiamo comunque rilevanti differenze di situazione e di prospettive tra l’Italia e gli Stati Uniti.
(1.continua)
Testi citati nell’articolo
Comito V., Non solo Pigs, cresce il debito globale, www.sbilanciamoci.info, 24 aprile 2015
Mckinsey Global Institute, Debt and (not much) deleveraging, www.mckinsey.com, febbraio 2015
Strohecker K., Emergents- Première sorties de capitaux depuis 1988- IIF, , 1 ottobre 2015
The Economist, Emerging-market banks, stressful times, 5 dicembre 2015, a
The Economist, Pulled back in, 14 novembre 2015, b
Vittori J-M., Encore et toujours la dette, www.lesechos.fr, 12 novembre 2015