Renzi e la destra mancante

per Gabriella
Autore originale del testo: Alessandro Gilioli
Fonte: l'Espresso
Url fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/

di Alessandro Gilioli   22 dicembre 2015

La differenza tra Renzi e gli altri tre

Negli anni del berlusconismo, lo ricorderete, in giro si è molto discusso della destra mancante in Italia: vale a dire dell’assenza, nel nostro Paese, di un centrodestra “classico”, liberale e liberista, nonché limpidamente conservatore. Come quello francese (Ump), inglese (il Conservative party, appunto), spagnolo (Pp), tedesco (Cdu) o anche greco (Nuova democrazia).

Da noi c’era, appunto, Berlusconi: un impasto di eversione e di fatti suoi, con tutta la sua schiera di Dell’Utri, Previti, Fede, Liguori, Feltri, Santanchè, Belpietro e via scendendo, nessuno dei quali ha mai impersonato neppure lontanamente un’idea della destra europea.

Nei momenti più cupi del berlusconismo e del conflitto d’interessi, all’inizio della scorsa legislatura, ricordo di aver scritto anch’io una cosetta in merito, e vabbeh.

Questa cosa non è cambiata neppure durante e dopo il tramonto di Berlusconi: i tentativi di fare una destra come negli altri paesi d’Europa sono falliti tutti miseramente, da Futuro e Libertà di Fini (la cui ambizione era proprio quella) fino all’Ncd di Alfano, passando se volete per Scelta Civica o Fare per fermare il declino.

Vale la pena di parlare, oggi, di questa anomalia italiana perché contribuisce non poco a rendere diverso il nostro Paese anche rispetto al macrofenomeno che sta investendo tutta Europa, quello a cui si accennava ieri parlando delle elezioni spagnole: la tendenza cioè che vede i vari partiti socialisti del continente perdere un’elezione dopo l’altra perché sono sempre più indistinguibili dal centrodestra; e mentre la maggior parte degli elettori di centrodestra resta tale (preferendo l’originale alla copia), quelli che prima stavano con il centrosinistra ora votano altrove o si astengono.

È quello che, appunto, è successo in Spagna, dove il Psoe ha toccato il suo minimo storico in contemporanea con il 20 per cento di Podemos; è successo in Francia dove alle ultime amministrative il Ps ha addirittura rinunciato a presentarsi in alcune regioni invitando a votare Ump; è successo in Grecia dove il Pasok è quasi sparito; rischia di succedere in Germania dove nell’Spd c’è addirittura la tentazione di non candidarsi al prossimo giro contro Merkel.

Si tratta di una secca smentita al vecchio luogo comune degli anni Novanta: secondo cui la sinistra vince solo virando al centro; al contrario, se c’è una cosa ormai evidente in quasi tutta Europa è che quando la sinistra storica socialista non è più distinguibile dal centrodestra, il suo elettorato va da un’altra parte, mentre l’elettorato di centrodestra continua in prevalenza a votare centrodestra.

A capirlo per ora sono stati solo i leader del centrosinistra inglese e portoghese, che sono andati o stanno andando in senso opposto rispetto all’emulazione del centrodestra.

E in Italia?

L’Italia, appunto, è in questo diversa da ogni altra realtà. E lo è soprattutto perché, come si diceva all’inizio, da noi non c’è un partito normale di centrodestra. Non c’è e non c’è mai stato.

Quindi gli elettori moderati, conservatori e in generale supporter dello status quo sociale ed economico non hanno un riferimento storico di appartenenza.

Pertanto il voto moderato, conservatore etc va a Matteo Renzi: che non teme di restare scoperto più di tanto alla sua destra, visto che da quella parte c’è poco o niente.

Di qui, quindi, il Pd che diventa partito della nazione.

Il quale conserva una parte dell’elettorato di sinistra (un abbrivo, una coda lunga di tante persone che hanno sempre votato il Pci-Ds-Pds e che non cambierebbero nemmeno sotto tortura), aggiungendovi la maggior parte dell’elettorato moderato e conservatore.

Questo vuol dire che il Pd renziano vincerà in eterno, o anche solo al prossimo giro?

No, naturalmente; perché tra le variabili italiane c’è anche la particolarità della sua principale opposizione, il M5S: nel quale sono confluiti molti voti di sinistra non affettivamente legati al Pci-Ds-Pds e che nel contempo non subisce il limite di Podemos, cioè la pregiudiziale anticomunista, antisinistra; né, per converso, subisce il limite speculare del Fronte nazionale francese, cioè la pregiudiziale antifascista, antidestra.

Il che tiene molto aperti i giochi.

Ma intanto l’assenza in Italia di una destra storica liberale e liberista spiega (o meglio: contribuisce a spiegare) la deriva strategica del Pd verso il partito della nazione, il suo successo alle europee, la sua spregiudicatezza tattica e anche la sua maggiore persistenza rispetto ai partiti socialisti del resto d’Europa.

Del resto, basta guardare la foto sopra, scattata a Bologna nel settembre del 2014. Da sinistra: l’olandese Diederik Samsom, leader dei socialdemocratici locali, il cui partito al governo con il centrodestra è crollato sotto il 10 per cento pochi mesi dopo questo scatto; Pedro Sanchez, quello che ha appena portato il partito socialista spagnolo al suo risultato peggiore di sempre; ultimo a destra Manuel Valls, che ha appena guidato il Ps a una cocente sconfitta alle amministrative e a far votare l’Ump al ballottaggio. In mezzo a loro Renzi, l’unico dei quattro che non le ha (ancora?) prese, perché l’unico che non ha un vero centrodestra con cui competere.

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