Quelli della Leopolda: giovani, carini, non più disoccupati

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi  18 dicembre 2015

Il vero – e forse unico – mito fondante del renzismo è stato apparire come una novità. In un paese vecchio, governato da vecchi e dai figli di quei vecchi, l’irruzione di questo branco di giovani, per quanto rumorosi, per quanto arroganti, per quanto inesperti – difetti che i vecchi sono comunque disposti a perdonare, quando si ricordano che loro stessi sono stati rumorosi, arroganti, inesperti – è stata vista da molti come qualcosa di salutare. Ed è un mito che funziona ancora, nonostante non siano più, oggettivamente, la novità del panorama politico italiano. Quelli della Leopolda – almeno delle prime Leopolde, visto che la spinta propulsiva di questa manifestazione pare affievolirsi con gli anni – non volevano essere solo giovani, o meglio non volevano solo apparire giovani. In fondo anche uno come Enrico Letta era giovane, ma non era certo nuovo, è uno dei tanti figli di… che ci sono in questo paese. E neppure Gianni Cuperlo è nuovo, pur essendo giovane, perché ha alle spalle una lunga storia di militanza, come molti di noi. Quelli della Leopolda dovevano essere – o almeno apparire – del tutto nuovi.
A dire la verità neppure Matteo Renzi era esattamente una novità, essendo entrato nella politica che conta con uno di quei sistemi che lui stesso, negli anni successivi, avrebbe poi tanto bistrattato. Il giovane di Rignano è diventato presidente della Provincia di Firenze perché così imponeva un accordo, biecamente spartitorio, che ha retto per molti anni tra gli eredi del Pci e quelli della Dc, almeno qui nelle cosiddette regioni rosse: quando si dovevano scegliere gli amministratori locali a noi toccavano i sindaci, perché i Comuni erano più importanti e noi eravamo più importanti – politicamente ed elettoralmente – e a loro toccavano le Province, perché quelle erano istituzioni con meno poteri. Dovevano accontentarsi e spesso si accontentavano. In sostanza quello designato a fare il presidente della Provincia doveva essere una figura meno popolare del sindaco, non doveva fargli ombra, e veniva controllato da un nostro vicepresidente, scelto tra i più bravi, proprio con questo scopo. Nonostante questo, Renzi – che evidentemente non era uno che si accontentava – ha avuto l’indubbia capacità di liberarsi di questo marchio d’origine e di riuscire appunto a presentarsi come nuovo.
Giovani, carini e disoccupati è il titolo di un film uscito parecchi anni fa, quando io ero giovane. Probabilmente non era neppure un gran film, ma ebbe la capacità di raccontare con efficacia quella nostra generazione e infatti fu imitato, con esiti alterni, in molte occasioni. Quelli della Leopolda sono riusciti a presentarsi così: giovani, carini, disoccupati. E figli di NN, almeno politicamente. Oggettivamente Maria Elena Boschi è la renziana perfetta, quella che rappresenta meglio di tutti queste caratteristiche; Maria Elena è il simbolo del renzismo e per questo non può cadere, non può essere sfiduciata. E’ giovane, è carina, oggi non è più disoccupata, perché a lei è stato affidato il compito più importante, quello di riformare la Costituzione. Un incarico che un tempo sarebbe toccato a un uomo, anzi a un uomo vecchio. I miei lettori con qualche anno in più ricorderanno certamente Aldo Bozzi, liberale, con la sua bella barba bianca, con i suoi toni pacati, a cui fu affidata la presidenza della prima commissione parlamentare, solo consultiva, incaricata di elaborare un progetto di revisione della seconda parte della Costituzione. La prima Repubblica aveva il viso, ancora risorgimentale, del senatore Bozzi, gesuitico e tardo, come lo zio di nonna Speranza; questa nostra, nuova, Repubblica invece ha il viso – e i tacchi – di Maria Elena Boschi.
Il giocattolo però si è rotto – o ha rischiato seriamente di rompersi – quando abbiamo scoperto che la caparbia Maria Elena non è la figlia di NN che ci hanno raccontato fino ad ora, ma è la figlia di suo padre e suo padre è un signore che negli anni si è creato una notevole posizione di potere nella sua città, fino a diventare – è ormai cosa nota – vicepresidente di Banca Etruria. Maria Elena non è nata sotto un cavolo, ma è la rappresentante di una famiglia che ha relazioni, contatti, interessi. Sinceramente a me importa poco capire se c’è stato o non c’è stato un qualche conflitto di interesse. Non mi sembra la cosa politicamente più rilevante. Questa vicenda, per molti versi drammatica, del fallimento di alcune banche locali ha svelato un bluff che noi da tempo denunciavamo. Questi saranno anche giovani, saranno anche carini, ma non sono affatto nuovi. Sono tutt’al più diversi da quelli che c’erano prima, ma non sono certo meno famelici, e sicuramente sono più pericolosi. Lo dimostra la riforma costituzionale che porta il nome della Boschi e che richiama in maniera inquietante quello di un altro aretino. Questi nuovi sono parte integrante di un potere che sta facendo di tutto – lecito e illecito – per difendersi e per rafforzarsi; anche usare i propri figli, facendo finta siano nuovi.

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