di Alfredo Morganti – 14 ottobre 2015
In un senso almeno, quello peggiore, la coppia destra-sinistra è stata superata. Un superamento che potremo sintetizzare nella formula: ‘fine del conflitto politico’ (e a cascata di ogni altro, da quello sindacale a quello sociale). ‘Fine’ non indica una fine, appunto, brutale. Ma un lento spegnersi, una sua progressiva svalorizzazione. Al conflitto si accompagnano aggettivi sempre più negativi: è rissoso, polemico, produce una perdita di tempo. Il conflitto è una zavorra, insomma, che appesantisce la corsa spedita del premier (o chi per lui) verso il posto al sole che l’Italia merita, si sa, da molti decenni. Vuoi mettere saper dire sì, vuoi mettere imparare a dire sì? Vuoi mettere l’acquiescenza? Il superamento della ‘coppia’ destra-sinistra equivale all’ingresso del contesto politico-sociale nel porto tranquillo dell’unanimismo e del conformismo. Tutti assieme, appassionatamente, oltre le divisioni, le polemiche, le risse, i contrappesi. Tutti al centro (inteso come luogo geometrico) in un grande abbraccio. Si dirà: è una crisi epocale, servono nuove topografie, nuovi assetti, nuove radiografie del potere, nuove coppie, nuovi termini, nuovi linguaggi. Nell’attesa, però, ci teniamo il conformismo e questa invereconda ammucchiata, che non è più trasformismo (che presuppone ancora dei confini), piuttosto una massa informe di nulla con effetto splatter, che vota a comando, che reagisce solo agli stimoli comunicativi o a quelli degli interessi spicci.
Ci avviamo verso una società e uno Stato ridotti ai soli ‘pesi’, in taluni casi massimi. Fondati sulla sola forza dei numeri. Un complesso sociale e istituzionale con una vigorosa costante gravitazionale, massiccio, che piomba sui propri obiettivi per conseguirli in modo robusto e rapido. Vuoi una nuova Costituzione? Prego. Vuoi una riduzione delle tutele per il lavoro subordinato? Eccola in un batter d’occhio. Vuoi una scuola dove tutto giri attorno a una persona e si cancelli finalmente la noiosa ‘collegialità’, che tanto tempo ci fa perdere e crea solo compromessi? E che ci vuole! Tutto veloce, tutto smart, tutto expo. L’esecutivo come un trattore e la vita politica e civile una spianata di nulla. Un vuoto, una piattezza esasperante all’orizzonte, su cui slitta indisturbato il potere. Non quello democratico, nel quale un delicato meccanismo salvaguarda i diritti e la libertà di tutti, senza negare funzioni e compiti di un esecutivo. Ma un potere indefinito, ancora giovane, post-democratico, che sulle cenere dei conflitti costruisce la propria leggerissima invulnerabilità. Un potere impermeabile. Eppure arrogante. Camuffato. Eppure reale. Senza contrappesi. Ma dotato di un precario equilibrio. Un potere personale. Mediatico. Teatrale. Di cui Renzi è solo un epifenomeno che interpreta a suo modo la fase. Ma il passaggio è storico, più ampio di lui. E, dinanzi a questo passaggio, con le sempre minori risorse di cui dispone, il compito della sinistra – di quel che è, di quel che ne è rimasto, di quel che sarà – appare davvero improbo, forse sovrumano.