Fonte: megachip.globalist.it
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Come tutte le variabili esponenziali della crescita di un qualunque organismo, biologico o sociale, il debito nasconde un punto di discontinuità. Cioè si rompe.
Rispondo a Marco Ponzi su due questioni cruciali che mi ha posto nella lettera che segue:
Gentile Dottor Chiesa, le propongo una riflessione sulla petizione per uscire dalla NATO.
Penso che in generale le raccolte di firme siano sterili di per sé.
L’uscita dalla NATO è un attacco troppo diretto a chi rappresenta gli interessi predominanti e, anche se ben argomentata e motivata, la massa delle persone non capisce forse perché non è pronta, se invece avesse un minimo seguito sarebbe troppo facile per i media screditarla e deriderla.
Credo che la via maestra sia quella di informare, divulgare (rendere di pubblico dominio), diffondere il più possibile, aprire gli occhi, formare le persone e farle crescere in modo che il maggior numero di persone possa acquisire consapevolezza e …votare coscientemente.
E questo lei lo fa molto bene, con grande professionalità e autorevolezza.
Potrebbe sembrare fuori luogo ma a mio modesto avviso questa mappa potrebbe aiutare e molte persone ad aprire gli occhi se l’argomento venisse spiegato in maniera esauriente.
http://www.economist.com/content/global_debt_clock
Anche se la fonte non è del tutto attendibile, la mappa interattiva dell’Economist è senz’altro molto significativa.
È possibile osservarvi l’ammontare del debito di tutti i paesi del Mondo, dal 2004 ad oggi. Il debito cresce ogni secondo che passa.
Passando con il mouse sui paesi, per ognuno di essi la mappa mostra l’ammontare del debito pubblico oltre che il debito pro-capite di ognuno di noi.
Ma i conti non tornano . se ognuno di noi è indebitato e i paesi più ricchi sono anche quelli con un debito maggiore, chi sono i creditori?
La mappa non lo dice!
Buon lavoro e buon viaggio intorno al sole!
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Grazie intanto per le buone parole che lei spende a mio sostegno. Rispondo. Sulla questione della petizione per l’uscita dalla NATO, le sue considerazioni sono tutte giuste. Anch’io sono certo che le raccolte firme non servono a far cambiare le cose. Possono servire, però – ed è questa la mia intenzione – per aprire il problema di fronte agli occhi del più vasto numero possibile di persone. Cioè per fare azione di informazione diffusa. Tirare fuori dall’oblio, o dal cassetto, questa idea è inoltre più attuale che mai. Vent’anni fa, forse, non era così chiaro. Adesso è chiaro – almeno a me, ma non solo a me – che la guerra si sta avvicinando a grandi passi. E la NATO è e sarà lo strumento mortale che ci costringerà a combatterla e a perire. Inoltre questa campagna (le firme sono solo un modo per quantificarla) ci dirà quanto è compreso il problema. Scopriamo, già ora, che il livello di informazione è quasi nullo. È importante misurare questa “febbre” dell’ignoranza collettiva. È importante tentare di cambiarla. Anche questa è politica. E, poiché penso che la questione NATO esploderà presto in Europa, quando la signora Le Pen diventasse presidente della Francia, sarà opportuno che il pubblico italiano sia preparato alla bisogna.
Sono consapevole che una tale offensiva sarebbe seguita, ove avesse successo, da una reazione furibonda degli Stati Uniti e dei media che obbediscono al loro comando. Ma questo dovrebbe incoraggiare, coloro che vogliono vivere, a insistere, non ad arrendersi. Gli altri, comunque, non contano, avendo già accettato la loro condizione di mandria, da mungere prima e poi da scannare.
E vengo alla seconda domanda. Vorrei che, prima di tutto, chi ci legge andasse a vedere la mappa che lei ci propone. Davvero interessante, anche se molte cose non sono chiare nella metodologia con cui il contatore è stato costruito. Comunque contiene dati impressionanti. Il debito pubblico mondiale cresce enormemente ad ogni minuto che passa. Tutti sono indebitati. E, più alto è il reddito di un paese, più alto è il suo debito pubblico. È un’assurdità apparente o reale?
La risposta che ne dà l’Economist è patetica. Non è infatti più vero, da tempo, che i governi prendono a prestito il denaro dai loro cittadini. Questa è archeologia del capitalismo. E il giornale britannico riesce solo a manifestare la sua tipica fobia ultra-neo-liberista, paventando in risposta un “intervento crescente degli Stati”, con l’aumento delle tasse. Abbastanza comico, alla luce dei fatti, per esempio greci.
Questo incremento del debito sottende tuttavia molti problemi, che vanno evidenziati. Io, che non sono uno specialista, ne vedo solo alcuni, che mi paiono importanti.
In primo luogo faccio ricorso a John Maynard Keynes che ne dette una spiegazione chiarissima nel 1936. Disse che, riducendo i redditi delle masse consumatrici mediante l’abbassamento delle pensioni, dei salari e stipendi, dei servizi sociali, si riduce la domanda di consumo e la possibilità d’investimento. È lapalissiano, ed è ciò che accade dovunque in Occidente in questo momento.
Ciò produce una riduzione corrispondente del Prodotto Interno Lordo. Che, a sua volta, produce effetti negativi sul bilancio dello Stato, diminuendone le entrate. Questo, a sua volta, si riflette in un aumento del debito e in una richiesta di altri prestiti. Gli stati non ricuperano, nemmeno aumentando le tasse, perché la globalizzazione consente alle imprese di pagare sempre meno tasse. Dunque gli aumenti delle tasse ricadono sull’uomo della strada, riducendo ulteriormente le sue capacità di consumo.
Questo è un pezzo della risposta.
Ce n’è un altro, altrettanto importante. Il debito cresce “automaticamente” attraverso l’enorme numero di computer che agiscono 24 ore su 24 in tutto il pianeta. Lo ha spiegato molto bene Luciano Gallino nel suo libro “Con i soldi degli altri”. Le “macchine” sono programmate per scommettere. Ogni scommessa è un acquisto a debito. La massa delle scommesse, fuori controllo umano, sta gonfiando il debito mondiale (in questo caso in gran parte privato, delle banche e corporation, ma che diventa pubblico un minuto dopo, quando le scommesse falliscono in grandi dimensioni e costringono gli Stati a intervenire per comprare la carta straccia rimasta). A quanto ammonta percentualmente questo debito automatico? È superiore alla metà di tutte le transazioni finanziarie mondiali. E accelera.
Rispondere alla domanda “chi deve cosa a chi?” è molto difficile. Ma il titolo del libro di Gallino contiene una parte della risposta. Chi manovra questo indebitamento lo fa “con i soldi degli altri”. È lui (loro) che incamera i profitti, o quella parte dei debiti che vengono pagati, dovunque essi siano. Ma – come detto prima – ne registra una parte infinitesimale. Il resto rimane accumulato in segreto, “da qualche parte”. Quello che si vede è solo la parte non pagata del debito, che, quindi, cresce incessantemente.
Dunque c’è uno stratosferico accumulo di ricchezza, in gran parte invisibile, o che emerge solo in caso di guerre (che vengono pagate con quei fondi) o di sprechi che i padroni universali decidono di permettersi.
Chi ci perde siamo noi, i cui denari sono stati usati per scopi diversi da quelli del nostro benessere, e che, quando c’è da perdere, siamo gli unici che perdono.
Terza e ultima risposta: quanto può durare? Non lo sappiamo. se c’è qualcuno che può fare i calcoli, sono i “padroni universali”. Dubito che anche loro – accecati come sono dalla loro avidità – siano in grado di fare previsioni attendibili. Quando comunque capiranno che il gioco sta per finire metteranno a ferro e fuoco il pianeta.
Ma non può durare per sempre. Ce lo dicono due dati: il debito cresce più velocemente della crescita del PIL mondiale. E cresce più velocemente della crescita della popolazione mondiale. Esso ha un carattere esponenziale. Come tutte le variabili esponenziali della crescita di un qualunque organismo, sia esso biologico o sociale, esso nasconde un punto di discontinuità. Cioè una singolarità. Cioè si rompe. Cosa succederà è difficile prevedere. E è ancora più difficile ipotizzare che sarà qualcosa di piacevole per noi.
Mi viene in mente il titolo di un altro libro, il cui autore è greco, si chiama Christos Ikonomou. Scritto due anni fa, nel pieno del disastro greco: “Qualcosa capiterà, vedrai“.