Fonte: Il Fatto Quotidiano
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di Alessandro Robecchi – 17 luglio 2015 su Il Fatto Quotidiano
Pena di morte e ergastolo per il cadavere. E poi passarci sopra con lo schiacchasassi, come nei cartoni animati, e magari buttato dalla rupe (Tarpea, già che ci siamo), e raccolto con un coretto di marameo, gesti dell’ombrello, pernacchie a mano aperta. Quel che succede a Alexis Tsipras, nel giubilo generale degli europei – quelli di destra, ovvio, quelli di “sinistra”, altrettanto ovvio – e dei loro giornaloni potenti (e giornalini, ci metto pure l’Unità) è un caso di scuola. Insomma, il destino dei leader della sinistra che non vuole essere – finché può, finché sa – la finta sinistra liberista à la page col desiderio di essere come tutti, è quello lì: morte e distruzione, umiliazione e sberleffo. Ognuno cerchi i suoi esempi nella memoria e nelle vecchie cronache. Lo spagnolo Zapatero che sembrava il messia e poi si zapaterizzò velocemente nel tran tran e nella quasi scomparsa. Nel nostro piccolo, gli Ingroia suscitatori di chissà quali speranze (peregrine, va detto) e poi dissoltosi come un ghiacciolo lasciato in macchina a ferragosto… Antò, fa caldo.
E questo per il passato. E per il futuro, invece si vedrà, ma è chiaro che si gioca anche di sberleffo preventivo, basti leggere certi giudizi su Landini, su Civati, su chiunque in qualche modo si permetta, alimentati a suon di sentenze e ironie dai commentatori schieratissimi di destra e – ancora – di “sinistra”.
Ma insomma, Tsipras fa caso a sé, e per vari motivi. Il primo: non è una comparsa ma un protagonista, uno che ha vinto le elezioni (lui), che guida un paese, non una promessa che si prepara a guidarlo un domani, chissà, forse, vedremo. Poi perché i giudizi su di lui hanno oscillato come pendoli impazziti all’oscillare delle vicende greche degli ultimi mesi. Cattivo comunista e pessimo debitore prima, nella fase della paura che in qualche modo ce la facesse. Poi, per un paio di giorni, schifoso calabraghe quando portava le sue proposte in Europa. Poi di nuovo diabolico agitatore e cattivo maestro. E poi – qui il colmo, il testacoda – populista quando chiese al suo popolo di promuovere o bocciare la linea del suo governo, cosa davvero incredibile che un capo di governo capace di indire un referendum in sei giorni, portare a votare tutti, e vincere, sia chiamato “populista” anziché “democratico”, ma tant’è. E poi, ultimo atto della tragedia (là) e farsa (qui): la sconfitta e l’umiliazione, salutate con un boato di gioia. E si capisce, certo. Il tentativo di ribaltare il pensiero unico liberista-monetarista non è riuscito, la paura rientra, si certifica che non solo non è possibile cambiare il gioco, ma che chi ci prova verrà schiacciato senza pietà. Sollievo, insomma, e il solito “guai ai vinti” che si conosce. Con un aggiunta di astio e bile: che ora chi temeva uno Tsipras in qualche modo vincente – o almeno non perdente – sulla scena mondiale non si accontenta di vincere, ma vuole lo scalpo da portare all’accampamento. E così si assiste allo spettacolo indecente di una destra ultraliberista e di una sinistra ultraparacula che gli rimprovera di non averla saputa realizzare, quella rivoluzione che li fece, per qualche minuto, scusate il francesismo, cagare addosso. Amici del Fmi e sostenitori di Schauble che dicono oggi, su Tsipras, le stesse cose dei black bloc greci in rivolta ad Atene: venduto, accomodante, lacché della Banca Europea. C’è del furore che si spiega solo così: Tsipras gli aveva messo una fifa blu. E si sa come vanno le cose da queste parti, e lo spiegò bene Michele Serra: che “Preferiamo rassegnarci in compagnia che ribellarci da soli”. Ecco, ad Alexis Tsipras, tra un insulto e l’altro, stanno spiegando proprio questo. Con grande sollievo.