Fonte: Il Manifesto
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Scorrendo le cronache di quest’ultimo ennesimo stupro del parlamento e della democrazia da parte del renzigoverno verrebbe voglia di chiudere lì il discorso prima ancora di aprirlo. Col più classico e liquidatorio gesto di stizza che i bambini compiono quando la rabbia sacrosantamente li scuote. L’avete voluto, tenetevelo. Quanto peggio, tanto meglio. Ma a chi poi si rivolgerebbe questa stizza cieca, dato che i contraccolpi cadono tutti sulle nostre teste? Nostre, di noi che questo schifo non l’abbiamo mai voluto né mai abbiamo fatto alcunché per meritarcelo, se non l’essere stati incapaci in tutti questi non brevi anni di rafforzare la parte sana o meno malata del paese e di ricostruire quella sinistra comunista o anche soltanto seriamente socialista che era stata suicidata nei secondi anni Ottanta?
Così ci sforziamo di ritornare freddi nella misura del possibile di fronte a questa porcheria di un’ennesima fiducia richiesta e puntualmente votata anche da quanti non si stancano al tempo stesso di protestare e mugugnare e lamentarsi del destino cinico e baro che li costringe a rivelare la propria inconsistenza e viltà al cospetto dell’intero popolo sovrano.
Siamo arrivati a questo voto in capo alla più tradizionale delle pantomime. Prima il renzigoverno annuncia le linee fondamentali della «riforma» della scuola – quella scuola che il giovane bellimbusto manintasca aveva celebrato come epicentro della sua società ideale quando si era presentato per la prima volta alle Camere l’anno scorso, liquidato e impalato il letta.
Linee che suscitano la pronta corale reazione indignata di tutte indistintamente le componenti del mondo della scuola, salvo la mogliera del renzi medesimo e qualche dirigente scolastico rampante bramoso di impettarsi la stella dorata dello sceriffato.
Studenti, genitori, professori in ruolo e precari, tecnico-amministrativi e sindacati – per quel nulla che valgono agli occhi del ducetto democratico – scendono in piazza e protestano per lo scippo di quel po’ di garanzie che ancora restano a tutela del posto di lavoro, del salario e della libertà d’insegnamento, per la volontà di iperpersonalizzare la direzione di plessi e istituti, per la decisione di gettare a mare senza prospettive metà del precariato, per l’ennesima regalia alle scuole private pretesche, insulto alla Costituzione. A chi protesta e sciopera il renzigoverno e i suoi scherani in parlamento replicano unisoni a muso duro: le sue ragioni valgono zero, si «tira dritto», chi ci ama ci segua, non si è democratici per niente.
Poi viene la batosta elettorale, il renzi per qualche ora sembra in confusione, teme di avere urtato uno scoglio imprevisto. Vacilla. E finge di aprire a qualche concessione. Qualcuno, incredibile a dirsi, gli crede. In realtà stringe i tempi e la strategia è pronta in men che non si dica, contro ogni regola di considerazione delle ragioni altrui ma non senza buone ragioni sul lato dei poteri. La commissione in Senato rischia di intralciare? Si salta. Il dibattito e il voto di merito in aula impensieriscono? Si imbrigliano. Il renzigoverno ha l’arma letale della fiducia ed è subito pronto a imbracciarla, con buona pace del presidente della Repubblica che forse s’immagina davvero di essere quel che la Costituzione afferma, perché non ha capito che qui è cambiato tutto e che la Repubblica ormai è solo una quinta di cartapesta stesa a dissimulare il regimetto di un imbronciato reuccio.
La fiducia, l’arma letale. Già. Qui casca l’asino. Perché in teoria il governo non dovrebbe affatto considerarsi al riparo dai rischi grazie a questo ricatto, stando alle forze in campo e prendendo una volta tanto sul serio le parole dette e financo scritte dai parlamentari. Il governo in Senato non avrebbe i numeri. Li ha solo se può contare anche sul voto di chi, pur militando nel partitodirenzi, protesta e minaccia e giura sul proprio onore di dissentire dalle decisioni del governo. Il quale può puntare sulla fiducia per restare in sella soltanto se sa (perché sa) che al dunque (alla fiducia) le proteste rientrano, le minacce dileguano, i giuramenti si sciolgono come neve al sole. Il governo sceglie la farsa dello scontro e poi mette la fiducia drammatizzando lo scontro perché sa che alla fine, con la fiducia, tutto rientra nell’ordine naturale delle cose. In aula si litiga, si urla, si inveisce, si insulta persino. Ma poi a capo chino si striscia e si vota, e amici come prima.
Fino alla prossima sceneggiata a beneficio nostro, ché al massimo staremo a casa anche la prossima volta quando si tratterà di votare.
Da dove viene al governo e al suo ducetto tanta sicurezza? Questo è il punto, non altre frottole ammannite ai benpensanti che ancora si bevono la fola della democrazia. La risposta non è difficile, è solo poco decente e per nulla edificante. Viene dalla consapevolezza – si badi, generale: poi si stende un velo pietoso sull’indecenza: viene dalla consapevolezza che, pur di rimanere fino alla morte naturale della legislatura (pur di tagliare il traguardo che vale un vitalizio), i parlamentari si lascerebbero anche tagliare una gamba, figuriamoci se si confondono a fiduciare un governo contro il quale lanciano gratis a giorni alterni maledizioni e anatemi. E questo il renzi lo sa, conosce a menadito i suoi polli. Questo lo sanno anche i signori della «grande stampa». Ma per carità non si dice, non sta bene: è così una faccenda volgare, indecorosa, spoetizzante.
Meglio raccontare che il punto è la stabilità, l’Europa, lo spread. O la lealtà alla ditta. La tormentosa contraddizione in foro interiore tra la convinzione e la responsabilità. Meglio. Almeno finché non succede che il giocattolo si rompe, magari perché arriva sul più bello quello delle ruspe. Dopodiché non resterà che ringraziare la premiata ditta, questa vera sciagura italiana che non ha solo disperso tutta un’eredità di buona storia. Ha anche lavorato e trafficato ogni giorno sotto mentite spoglie per ingannare, infestare, inghiottirsi il paese.