da www.pagina99.it di Federico Gennari Santoni 14 maggio 2014
Un’indagine del Congresso Usa sui pozzi di gas e petrolio dice che sul fracking non ci sono controlli. Ma gli States spingono comunuqe sull’export di gas liquefatto e i repubblicani cercano di limitare le leggi restrittive approvate dai singoli stati
Il fracking è il sistema estrattivo del momento, come molti avranno visto nell’ultima puntata di Report. Quello necessario a tirare fuori dalla roccia shale gas e petrolio. Ma non mancano rischi per la salute dei cittadini e l’ambiente, che i governi tendono ad ignorare. A dirlo stavolta, oltre alle organizzazioni ambientaliste, è un’indagine del Congresso americano. La notizia, rilanciata dall’Associated Press e comparsa solo su agenzie e giornali stranieri, ha come sfondo l’impegno del governo Obama per l’export di gas naturale liquefatto (Gnl). Mentre il partito repubblicano spinge sul fracking, proponendo di bloccare preventivamente le norme preventive che potrebbero varare i singoli stati.
I giacimenti che il fracking permette di sfruttare si sono guadagnati l’appellativo di “non convenzionali”, proprio come è questa tecnica. La fratturazione idraulica consiste nella perforazione orizzontale, e non verticale, di uno strato roccioso nelle profondità del terreno (1500-6000 metri), estremamente permeabile e contenente gas naturale. Per estrarlo, vengono aperte delle fratture tramite piccole esplosioni, poi allargate pompando acqua e sostanze chimiche a pressioni elevate. Da lì, il gas confluisce nella condotta del pozzo e arriva in superficie. Una tecnica costosa, che richiede perforazioni e fratturazioni continue. E rischiosa a causa di perdite di gas, contamiazione delle falde acquifere e sismicità indotta, come raccontato dal film del 2012 Promised Land. Ma vale la pena, dicono analisti e petrolieri. Perché proprio le risorse fossili da shale ci permetteranno di utilizzare per decine di anni le fonti energetiche che credevamo in esaurimento.
È la prima volta che un’istituzione importante come il Congresso si pronuncia in maniera decisa sulle implicazioni della fratturazione idraulica e sulle autorizzazioni concesse. Chiamato in causa è l’Interior Department’s Bureau of Land Management (BLM), l’istituzione americana deputata alla gestione dei territori che definisce anche le regole per l’estrazione di petrolio e gas. L’indagine congressuale riscontra, come sintetizzato dalla Associated Press,«lacune sostanziali nella soveglianza delle terre federali e dei nativi americani». La ragione è chiara: normative vecchie sull’estrazione, non aggiornate dal 1999 e dunque «non al passo con le nuove tecnologie». Ma anche limiti strutturali dello stesso BLM, «privo di risorse sufficienti e di uno staff adeguato».
Il BLM avrebbe fallito le ispezioni su più di 2.100 pozzi di petrolio e gas sul totale dei 3.702 pozzi trivellati tra il 2009 e il 2012, ed esaminati dal Congresso. Come se non bastasse, quegli stessi pozzi erano stati classificati dal BLM come ad “alta priorità” per il rischio di contaminazione delle acque a altre ragioni di tutela ambientale. L’indagine del Congresso si è concentrata su 14 stati: Arkansas, California, Colorado, Louisiana, New Mexico, North Dakota, Ohio, Oklahoma, Pennsylvania, South Dakota, Texas, Utah, West Virginia e Wyoming. Qui si trovano aree in cui «dal 2007 al 2012 – afferma il report – la produzione annuale da depositi di scisto (shale) e sabbie bituminose è incrementato più di 6 volte per il petrolio e 5 per il gas».
In che cosa consiste il fallimento del BLM? Nell’incapacità di riscontrare o prevenire casi di inquinamento dalle conseguenze evidenti e confermate da altri. Per questo «il governo deve prestare attenzione all’ambiente, e proteggere la salute pubblica e le sorgenti d’acqua dai rischi dell’estrazione di petrolio e gas», ha affermato Amy Mall del natural Resouces Defense Council. L’Associated Press, ad esempio, ha svolto un’inchiesta sullo stato della Pennsylvania, che solo nel 2013 ha ricevuto 398 denunce legate alla contaminazione di pozzi d’acqua privati, dovuta all’estrazione di shale gas. Più di 100 casi, inoltre, erano stati confermati nel corso degli ultimi 5 anni. Come mostra l’infografica dell’organizzazione State Impact, la Pennsylvania è uno degli “stati-groviera”, dove il fracking va per la maggiore da diversi anni.
Il risultato dell’indagine congressuale è un macigno per il presidente Obama, deciso a sfruttare le opportunità commerciali offerte dall’esportazione di shale gas nel pieno della crisi russo-ucraina. Lo shale gas è un trend mondiale e, in linea con l’analisi di pagina99 sull’ultimo G7 Energia, gli Usa non possono restarne fuori. Non a caso, è in corso di approvazione una legge che dà il via all’export di gas naturale liquefatto estratto dal suolo nazionale. «L’America è ora il primo produttore al mondo di gas naturale – ha affermato Jack Gerard, a capo dell’America Petroleum Institute – e aprire le porte al mercato ci permetterà di sfruttare questo potere sulla scena internazionale, portando a casa migliaia di posti di lavoro e rafforzando la nostra economia». Secondo Obama, i posti sarebbero 600mila. Un’opprtunità da cogliere, ha detto, a patto che le compagnie comunichino quali sostanze chimiche utilizzano nell’estrazione. Sarebbe utile, visto che istituzioni come il BLM non lavorano poi così bene. Il fracking è già largamente impiegato negli States, ma certamente la spinta data all’export contribuirà a diffonderlo ancora di più. Mentre i controlli non funzionano.
Sembra che il partito repubblicano, intanto, stia cercando di spianare la strada all’implementazione del fracking sul suolo nazionale. Una proposta di legge, il Chemicals in Commerce Act, vorrebbe proibire ai singoli stati americani di rispettare le leggi che hanno emanato su sostanze chimiche già oggetto di provvedimenti della Enviroment Public Agency (EPA). In sostanza, se l’EPA autorizza l’utilizzo e il commercio di un certo agente chimico, uno stato non rogolamentarne in altro modo l’utilizzo. Eppure, generalmente le leggi in materia sono fatte dagli stati e non dall’EPA, che ha margini di manovra limitati. Questo, come alcuni hanno sottolineato, invaliderebbe la stragrande maggioranza delle leggi riguardanti il fracking e il provvedimento non sarebbe affatto in linea con i risultati della recente indagine del Congresso. Del resto, i rischi ambientali ci sono e parte dell’opinione pubblica lo sa. Gasland, ad esempio, è un documentario che ha fatto il giro d’America ed ha avuto un ruolo cruciale nel far crescere la consapevolezza sul fracking negli Usa.
Il quadro è completo. Gli Usa puntano sull’esportazione di gas liquefatto. E questo richiederà un aumento della produzione, di qui la spinta di Obama sulle autorizzazioni. Più gas significa ricorrere allo shale, e quindi un’ulteriore diffusione del fracking. Mentre i controlli non funzionano, come denunciato dal Congresso, e contestualmente si limita la possibilità degli stati di legiferare sui pericolid elle sostanze chimiche usate nell’estrazione. Sarà un’occasione, ma «abbiamo anche bloccato il futuro energetico dell’America in un gas sporco e lontano da eolico, solare e alternative sostenibili» ha detto il procuratore John Rumpler, del gruppo di avvocati Enviroment America.