di Gian Franco Ferraris, Rivalta Bormida 25 aprile 2014
Non parlerò più – forse.
Vent’anni fa ero appena stato eletto sindaco e c’è stata la commemorazione di due vittime rivaltesi uccisi dai fascisti nel 1944, PAOLO BOCCA un giovane partigiano e un russo rivaltese di adozione chiamato ALEXANDER.
Ero emozionato perchè Berlusconi, Bossi e Fini avevano vinto le elezioni: la fine ingloriosa della prima Reubblica e l’eutanasia del comunismo avevano aperto la strada alla destra populista e reazionaria che covava un sentimento di rivincita che metteva in discussione i valori della Resistenza come momento fondante della nascita della Repubblica e della Costituzione.
Ricordo i vecchi partigiani sconcertati e preoccupati. Questa notte ho riletto Pavese che ha scritto nel 1947 le pagine più umane, commoventi e di lucidità accecante sulla guerra civile nel libro “La casa in collina”. Riporto un brano che è anche l’esame di coscienza di Pavese e la testimonanza della solitudine e fragilità della condizione umana.
… ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, vuoi dire che anche vinto il nemico è qualcuno. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
Penso che la storia debba studiare in modo profondo i fatti della Resistenza ma, comunque, come diceva in nostro concittadino Norberto Bobbio, non si può confondere chi lottava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Solo così si arriva a una memoria condivisa. Ora non ci sono sentimenti così contrastanti ma c’è quasi l’oblio. Il 25 aprile sembra culturalmente remoto, tanto che sui giornali di oggi non c’è neanche un accenno su questa ricorrenza.
Questo mi introduce al secondo argomento. Il 25 aprile non è mai diventato memoria collettiva degli italiani. su questo ci sono ragioni profonde, per molti anni chi ha fatto la Resistenza ha vissuto il 25 aprile come momento della resistenza fallita o tradita; non abbiamo saputo unire la Resistenza alle vittime civili della guerra e ai tanti mandati da Mussolini a morire nella campagna di Russia e sui campi di battaglia.
Io sono cresciuto con Paolo, suo padre Teodoro che ha 91 anni, ha fatto la campagna di Russia, si è salvato miracolosamente, era comunista e tornato in Italia si è rifiutato di aderire alla RSI ed è stato mandato in campo di concentramento in Germania; si è salvato e tornato a casa ha visto alcuni suoi compagni che avevano aderito alla RSI e che erano passati alla Resistenza. Gli ho chiesto tante volte “cosa hai pensato” e lui mi ha sempre risposto “la vita è fatta così”.
Anche mio padre ha fatto 10 anni di guerra, anche lui era di antica famiglia socialista antifascita ed è tornato a casa a guerra finita. Erano due antifascisti ed erano una minoranza nel paese, ma c’erano anche quelli fascisti che, andando in guerra, si sono resi contro della scelleratezza di Mussolini e alla fine della guera volevano un’Italia diversa. È importante che i cittadini di uno stato riconoscano un’appartenenza comune, una identità.
In Francia al 14 luglio si celebra veramente una festa nazionale, è come se i francesi fossero nati in una bella famiglia amorevole e noi italiani in un orfanotrofio.
Quando si dice che lo stato italiano non ha efficienza istituzionale e amministrativa si dice una cosa vera e c’è il bisogno ineludibile di riformare lo stato; se cerchiamo le ragioni io penso che questo dipende in buona parte dal fatto che i francesi hanno una identificazione con lo stato che noi non abbiamo.
Rivalta, il nostro paese, ha una forte identità, è una comunità.
Il sindaco Walter ha introdotto cinque anni fa la campagna elettorale con una frase di Pavese: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Ora ci sono le elezioni tra un mese. Walter ha buone possibilità di essere eletto in regione, siamo amici da sempre, è un uomo leale. Io non ho mai raccontato balle a lui e lui non ha mai raccontato storie a me. Ora c’è una contrapposizione, da una parte Walter e tanti amici che sono stati con me, Bonelli, Susy, Enzo; dall’altra una lista in cui ci sono molti miei parenti, non solo Andrea mio cognato ma anche Franca che ha assistito mio cugino morto giovane in modo commovente.
E’ una vicenda che mi urta personalmente e che trovo irragionevole, ci sono stati errori che andrebbero analizzati a fondo, però devo ammettere che le polemiche elettorali sono anche divertenti.
Penso che tutti, chi va ad amministrare e i cittadini, dovrebbero partecipare e ricordarsi che Rivalta è un paese con una profonda identità e una storia. È un paese laborioso. Voglio ricordare che è stato sempre ben amministrato, è stato uno dei primi comuni ad avere la scuola materna e poi le scuole medie.
È anche un paese ricco e particolare: in un’indagine del dopoguerra è risultato il comune con la proprietà agricola più spezzettata. I rivaltesi hanno saputo sfruttare questa debolezza apparente e già nel 1600 si esportavano meloni. Nel dopoguerra abbiamo invaso i mercati ortofrutticoli della Liguria. Il papà di Paolo con un ettaro di orto ha fatto studiare due figli, da ragazzo caricavo i camion di verdura e i suoi sedani “i selìr Duren” erano i più ricercati.
Sono anche mezzo parente con Franco Canula. Suo padre, mio padre e il papà di Paolo negli anni ’60 hanno fondato la cooperativa agricola che ha innovato i metodi di coltivazione. Questi sono i miei ricordi e ognuno di voi ha ricordi simili ai miei o anche diversi, come il gruppo che faceva capo a Giovanni Briata, che è stato anche mio avversario con onore.
Tutto questo ha fatto sì che una Rivalta povera abbia costruito qualcosa di importante. Oggi viviamo una crisi grave, che ci coinvolge tutti. Chi andrà ad amministrare si ricordi che non è una questione di potere locale ma che dovrà essere rispettoso di una comunità ricca di storia. Non dimenticarlo.
Bisogna amministrare bene, essere bravi cittadini, abbiamo una lunga storia e un futuro – non dobbiamo dimenticarlo!