Piccola e grande politica

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 20 aprile 2015

Lo che la grande politica è un’altra cosa. Che la grande politica compare a fianco, quale reazione, quale spunto, quale protagonista dei grandi drammi storici: una guerra, una rivoluzione, un rivolgimento, un evento di caratura assoluta. So anche che la grande migrazione che sta conducendo odiernamente decine di migliaia di persone dalle coste dell’Africa in Europa è un fatto storico di una rilevanza insuperabile, un vero spartiacque, una rivoluzione demografica che segnerà la nostra epoca. So pure che non è possibile fermare in via definitiva l’esodo, perché la sua portata è ben altra rispetto alla caricatura che ne fanno soprattutto i giornali di destra ma, nella fattispecie, anche il nostro premier, quando suggerisce di bombardare coi droni le barche in Libia prima che partano. Ci pensate? Una specie di videogame mentre centinaia di migliaia di persone s’affacciano sulla costa nord africana dopo mesi e mesi di viaggio e di stenti nel deserto. Di epocalità non parlo io, ma un uomo di mare come l’ammiraglio Angrisano, comandante della Capitaneria di Porto, che sembra inquadrare il problema ben più dei rappresentanti politici, a partire da quelli europei: “C’è una nuova nazione che si sta muovendo verso l’Europa. Una nazione di fatta di profughi, di migranti, di rifugiati senza diritti né tutele. È nostro dovere soccorrerli”. Capite? Nostro dovere dice. Una nuova nazione, precisa. L’ecatombe di uomini è quindi il sintomo di un rivolgimento storico, demografico, civile, politico che non possiamo far finta di non vedere e che dovrebbe spingerci ad approntare delle misure, quelle di cui parlava l’ammiraglio, e poi trarne delle considerazioni politiche, di grande politica appunto.

Lo so, dicevo, la grande politica compare, se compare, con i grandi eventi storici, lascia il segno, lavora al rivolgimento, assume decisioni epocali. Per questo provo un po’ di pudore a trattare il tema della defenestrazione della minoranza PD dalla commissione parlamentare che deve affrontare la questione della legge elettorale. Non perché io non sia scandalizzato (a dir poco) dalla scelta di Renzi e dei renziani. Non perché non intraveda brutti segnali per la democrazia e per le istituzioni. Ma perché, dinanzi alle tragedie del mare, alla loro portata, alla politica grande che richiamano, qui, nel caso della defenestrazione, siamo in pieno nel campo della piccola politica. Piccola perché piccolo e inadeguato è il nostro premier. Piccola perché utilizza piccoli mezzi. Piccola perché non vedo drammi, svolte, epocalità, ma conflitti scialbi che i protagonisti, i soccombenti, per primi tendono a sdrammatizzare. Perché se davvero vi dovesse essere una risposta adeguata da chi è stato cacciato così, in modo indecoroso, dovrebbe essere molto, ma molto più risentita ed efficace, molto più decisa di quella che si è appena intravista. Anche dalla reazione ci rendiamo conto che di piccola politica si tratta. Se è così, se davvero lì si gioca una partita (apparentemente) locale, quasi di quartiere, poco influente rispetto al quadro generale che ci tiene in allarme nel Mediterraneo, sarebbe il caso di destinare le nostre poche energie rimaste dopo tante delusioni al punto vero, alla rivoluzione che i popoli migranti stanno indicando al resto del mondo, che in gran parte ancora non ha capito o fa finta di non capire la portata degli eventi. E riservare l’attenzione giusta, dovuta, niente più, alle scaramucce che un Partito di centro, impolitico o quasi, sprigiona pensando che sia sufficiente implodere fragorosamente per essere al’altezza del destino che bussa alla porta.

Al più, chiedo agli amici e ai compagni trattati come delle suppellettili da Renzi di mostrare più orgoglio, più dignità, perché dalla loro reazione dipende anche la nostra reazione. Se vi vediamo quasi attenuare la portata del fatto, se non vediamo la rabbia politica, se non vediamo prospettive, se non c’è progetto, se tutto sembra finire così, in una specie di dissolvenza finale, languida, triste, purtroppo scontata, anche quel che resta del popolo di sinistra si sentirà di fare la medesima cosa. Di dissolversi. Capisco che non abbiate, molti di voi, più la rabbia dei vecchi, la loro testardaggine, il loro carattere, la loro spinta, la loro intelligenza politica. Penso a Togliatti e a De Gasperi, per dire. Ma potrei dire Ingrao, Amendola. Capisco. Ma da qui a mostrare addirittura comprensione, a prendere mazzate per non darne, a evitare per primi voi la scissione, quando tutti ormai siamo scissi dentro e fuori, TUTTI, me compreso, be’, mi pare davvero troppo. Persino esagerato. Fate qualcosa sennò l’autostrada della politica passerà al vostro fianco ma senza di voi. E non sarebbe bello, almeno per chi ha tirato la carretta sino a ieri e oggi magari vi guarda con una certa ansia. Forse angoscia. Di sicuro preoccupazione e, forse, persino un po’ di vergogna per essere finiti in questo vicolo cieco, ritenendo di aver imboccato invece un boulevard parigino.

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