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L’analisi e la politica
di Alfredo Morganti – 13 aprile 2015
Ho letto e riletto l’intervento di Fassina, sabato sul Manifesto. Letto e riletto perché le voci fuori dal coro stimolano, e si sa che la sinistra deve produrre critica, non conformismo, se vuole essere sinistra, ossia forza di trasformazione che promuova giustizia sociale. Ne ho apprezzato la schiettissima analisi storica, economica, la visione lucida dei rapporti di forza, ho messo a fuoco infine la ‘radicale contraddizione […] tra l’ordine costituzionale dell’eurozona, retto dalla cultura della stabilità dei prezzi e della svalutazione del lavoro, e la nostra Costituzione, […] orientata dal principio della democrazia fondata sul lavoro”. Ecco la sfida per la sinistra, conclude Fassina. Un quadro attuale che, se conservato, promuove al massimo governi di coalizione o Partiti Unici della Nazione (in sostanza la stessa cosa) e attorno cespugli o rigurgiti di No Euro e populismi di varia specie. Con la politica che perde la sua essenziale capacità di essere un “terreno di scelta”, per acconciarsi a essere “esecuzione dell’unica agenda possibile”. E si sa che l’ “unico”, la mancanza di alternative, il tecnicismo sono l’anticamera della trasformazione della democrazia in tecnologia del potere, dove la comunicazione svuotata di politica si presenta come una specie di motore immobile imprescindibile. Vedi Renzi.
L’analisi è secca, spietata e in gran parte condivisibile. La domanda che sorge spontanea è, allora, “che fare?”. Se non si risponde a questo interrogativo si resta impelagati sul terreno dell’analisi e si toglie (anche noi) “terreno di scelta” alla nostra concreta pratica critica. Fassina risponde a questa domanda, proponendo un programma che veda al primo posto “una radicale ridefinizione del rapporto con l’Unione Europea”, in sostanza un intervento forte che rompa la contraddizione cui accennavamo, quella tra costituzione europea e costituzione italiana, tra vincoli liberisti e vincolo del lavoro. È un programma a un unico articolo, il primo, quello fondamentale. E può essere senz’altro condiviso, pur nella sua asciuttezza ed essenzialità. Il punto, però, è quello di articolare questo comandamento iniziale. Intanto spiegare meglio che cosa significhi e in che consista più nel dettaglio. E poi, soprattutto, scrivere i capitoli successivi del programma, che non possono essere soltanto una analisi e una ridefinizione più accurata del citato articolo 1 (lo dico per semplificare).
In breve, la domanda sul ‘che fare’ in politica è ben più articolata di quanto non si ritenga. Ingloba in sé anche l’altra essenziale domanda, ossia “come?”. Non c’è un ‘che fare’ scisso da un ‘come’. Fassina esclude dal novero dei possibili la ‘coalizione sociale’ di Landini. Nessun credito, dunque, alla favola dell’alternativa e dell’autosufficienza politica che la coalizione sociale, appunto, ancora esprime. Il fronte è europeo, non coincide affatto con le scaramucce italiane e i miti tradizionali della sinistra. È un fronte molto largo che impatta direttamente l’Unione Europea, prima ancora di lambire la rete dell’associazionismo interno. Bene. Ci sarebbe da discutere sul carattere fortemente vincolistico di questa ingegnosa analisi, un vincolismo che rischia di imprigionare il pensiero, ben più che liberarlo. Ci sarebbe da dire che assumere delle compatibilità è sempre un bene (analisi concreta della situazione concreta), ma il rischio è che le compatibilità si impossessino infine di te. Il limite del riformismo rispetto allo spirito più schiettamente rivoluzionario è, in fondo, proprio questo. Tuttavia, ora mi interessa in primo luogo che si tenti una risposta al “come” celato ma ben visibile all’interno del classico “che fare”. Perché, è evidente, al “come” non si può rispondere che nel PD vi sia lo spazio sufficiente per il ribaltamento di analisi che compie Fassina. Per il quale il Partito Unico della Nazione è frutto della pessima politica che fuga il “terreno delle scelte” per divenire ragioneria tecnicistica al servizio delle oligarchie europee. E allora? La coalizione sociale no, dice l’esponente del PD. Stare nel PD quindi? Ma perché, con quale giustificazione? Secondo me il dibattito vero, quello politico, parte proprio da qui. E tutto quello che viene prima è solo analisi. Utile, importante, intelligente come quella di Fassina, ma ancora soltanto analisi. A quando la politica?
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Le domande che tu poni, Alfredo, sono anche le mie. Anch’io ho apprezzato l’analisi di Fassina, che mi pari liquidi giustamente l’ipotesi che – nel quadro politico ed economico che delinea – sia possibile riproporre vecchi modelli riformisti (un nuovo centro sinistra, per intendersi). Anch’io penso che probabilmente la “coalizione sociale” (che è comunque cosa buona e giusta) non sia una risposta esaustiva. Anch’io penso che rimettere insieme i pezzi sparsi di sinistra politica (che sarebbe comunque cosa buona e giusta) probabilmente non basti.
Ma allora? Chi la deve fare e COME questa fondamentale battaglia? E, in attesa di vincerla in un lontano futuro, come ci attrezziamo per fare – intanto – opposizione e resistenza?