Fonte: PoliticaPrima
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di Michele Maniscalco – 6 aprile 2015
Ho letto il libro di Maurizio Pallante: “La decrescita Felice“. Lo spunto per farlo me lo ha dato l’articolo, del 15 marzo scorso, di Giuseppe Vullo, una forte critica alla “crescita”, attributo principale del capitalismo e, secondo Vullo e lo stesso Pallante, una grave malattia che va curata.
Io ho passato l’infanzia e l’adolescenza ai tempi dell’autoproduzione e del consumo a km zero e vi poso assicurare che non è stata felice. I miei genitori hanno avuto 4 figli tra il 1930 e il1935. Tutti nati a San Giuseppe Jato, provincia di Palermo. Le mucche e le capre ogni mattino giravano per le strade del paese e il vaccaio e il capraio mungevano il latte davanti alle persone che si potevano permettere di comprarlo. E non tutte le famiglie potevano farlo.
Il pane così come la pasta si faceva in casa. La cottura avveniva rigorosamente a legna e anche il bucato, a casa, con l’acqua attinta alla fontanella. Camicie, pantaloni, biancheria intima oltre al rammendo dei vestiti erano cuciti da mia madre, oberata di lavoro. Il riscaldamento era col braciere, e l’illuminazione con poche lampadine da 25 watt. La casa era di nostra proprietà così come 1 ettaro di terreno.
Producevamo un po’ di frumento che per pasta e pane ci bastava fino a novembre-dicembre, dopodiché sorgevano i problemi. Come comprare il frumento, la verdura, qualche vestito e tutto quello che non si poteva autoprodurre? Si, era tutto a km zero, ma anche il denaro necessario era Km zero. Mio padre era bracciante agricolo e le paghe per questa categoria di lavoratori erano irrisorie al confronto dei prezzi dei prodotti agricoli. Chi era proprietario di 4 ettari di terreno era un benestante. Con 10 ettari si era ricchi. Fino alla prima metà degli anni ‘40 pagavano la giornata lavorativa di 10 ore del bracciante 200 lire, e vendevano un kg di frumento 100 lire.
I quattro figli frequentammo le scuole elementari con successo, tre dei quattro erano i primi della classe. Finita la quinta elementare non si poteva continuare perché in paese non c’era neppure il ginnasio (l’attuale scuola media). E non esisteva la corriera gratuita per Palermo per gli studenti. Risultato: il più grande dei fratelli, a 12 anni, va a fare il bracciante agricolo, il secondo il manovale muratore, la terza fa la casalinga, il quarto impara a fare il calzolaio.
Nel 1960 poiché l’economia locale, con l’autoproduzione e le cose a km zero non mi dava né lavoro né i mezzi di sostentamento decido di emigrare in Svizzera. Trovo subito lavoro in una grande fabbrica e vi rimango per 29 anni. Dunque sono entrato tra quelli che producendo merci fa crescere il PIL.
Ma quanto questo PIL ha aiutato anche me a crescere in esperienza, cultura e conoscenze? Sin da ragazzino ho sempre avuto la curiosità di leggere libri oltre quelli di scuola. Ma non potendo comprarli, per soddisfare le mie curiosità, andavo dal barbiere, tutti i giorni, a leggere il giornale, non costava niente. Con la merce che producevo per conto del datore di lavoro, e col relativo salario, invece, potevo comprare tutti libri che volevo, soddisfare i bisogni necessari e conoscere il mondo. Col Pil che aiutavo a crescere potevo girare l’Europa in lungo e in largo e anche alcuni Paesi extraeuropei: Stati Uniti, Brasile, Egitto e Cina.
Dunque Maurizio Pallante ha torto? No. Non ha torto quando afferma che non si può continuare a crescere all’infinito. Le materie prime non rinnovabili sono ad esaurimento e l’inquinamento continuerà ad aumentare fino a limiti insopportabili. Pallante, come rimedio, suggerisce l’autoproduzione, il consumo di beni a km zero e una forte, fortissima riduzione del consumo di carne bovina. Secondo me l’auto produzione e il Km zero sono come una goccia d’acqua nell’oceano. Le due cose fattibili sono la riduzione del consumo di carne e la drastica riduzione del consumismo: non buttare le cose funzionanti ed utili solo perché la propaganda ci ha inculcato che sono obsolete e quindi vanno sostituiti.
A questo punto sorge il problema dell’occupazione: cosa fare con gli esuberi di manodopera? È un tema molto scottante al quale non posso rispondere. Ma proprio questo è il compito degli economisti e della Politica: trovare le soluzioni più idonee per il futuro delle nuove generazioni.