Fonte: Mondoperaio
Url fonte: http://www.mondoperaio.net/wp-content/uploads/2014/12/Sommario-12-2014.pdf
di Domenico Argondizzo, dalla rivista Mondoperaio dicembre 2014
Inizio da una metafora.
Vi sono serie acquisizioni scientifiche che mostrano come l’epos omerico sia costituito da tradizioni orali appartenenti a popolazioni che vivevano nel Baltico intorno al 2000 a.C., successivamente discese fino alla penisola greca per il repentino raffreddamento del nord Europa. Tali Achei pre-greci, che diedero vita alla civiltà micenea, battezzando il nuovo mondo egeo e mediterraneo secondo una toponomastica del Baltico[1], con il passare dei secoli persero contezza dell’originale localizzazione di quei toponimi, e della loro stessa provenienza (anche se qualche traccia ne restava ancora in Platone, nel mito, ed in alcuni storici del periodo imperiale romano).
Passo al nostro piccolo e recente caso del 1945-47[2]: nei lavori costituenti fu elaborato un certo sistema parlamentare bicamerale perfetto con l’intento di porre un freno al governo autocratico manifestatosi a pieno in epoca statutaria “liberale”. Mi riferisco alla soluzione norvegese corretta intuita da Tosato e Mortati e sostenuta da Ruini e Perassi, per affrancare il Parlamento dal ricatto governativo della questione di fiducia posta sul merito della legislazione: mettere nelle mani del Parlamento a Camere riunite il nesso fiduciario, separandolo dalla funzione legislativa, svolta disgiuntamente da Camere pari ordinate. Già nella discussione presso la Commissione dei settantacinque tale intuizione fu osteggiata, e venne definitivamente sfigurata in Assemblea. Successivamente, anche grazie alle solenni celebrazioni per l’approvazione della Costituzione, il mondo politico tenne nell’ombra tale rimozione, e la dottrina fece calare il sipario sulla stessa posizione del problema. Quindi, via via nei decenni, si andò parlando del moncone approvato, sottacendone l’origine, fino al momento in cui nessuno, anche in buona fede, fu più in grado di spiegarne la genesi, gli scopi frustrati e disattesi. Anzi, la moltitudine andò (e va) dicendo che tale moncherino rappresenti l’apoteosi dell’onnipotenza del Parlamento, causa prima di tutti i problemi politici, istituzionali, ed altro, italiani.
E siamo all’oggi. La politica italiana e, quindi, la dottrina italiana del diritto costituzionale, vivono di mode: ora va il monocameralismo tendenziale ed il presidenzialismo (ed appena ieri andava lo scrutinio maggioritario applicato al collegio uninominale). E perciò moda sia: si prova a confezionare un abito alla forma di governo più alla moda, ma con l’intento di dare una risposta (seppure parziale) a quella esigenza motore primo del bicameralismo perfetto (e ad altre esigenze corollarie). Beninteso, ed anticipo le conclusioni, al fine di dimostrare la massima purezza, efficienza e nitore della soluzione norvegese corretta, rispetto a qualunque soluzione modernista, inclusa la seguente.
Altrimenti, come i greci che, dimentichi della loro ascendenza baltica, da un certo punto in poi credettero veramente che il Peloponnesso (letteralmente “Isola di Pelope”) fosse sin dall’origine la “penisola” dell’Egeo che i loro avi avevano così ribattezzato, così gli italiani, dimentichi della amputazione al bicameralismo perfetto perpetrata in Costituente, finiranno per buttarlo a mare, consegnando tutto il potere politico (cioè sia la funzione legislativa sia quella di governo) nelle mani dell’unico organo esecutivo.
Ironia della storia, si finirà per mettere formalmente il Parlamento nelle stesse potenti e condizionanti mani, dalle quali volevano – dopo i 74 anni di esperienza “liberale” prefascista – allontanarlo quei costituenti che avevano proposto quel determinato bicameralismo perfetto. Seppur solo formalmente, giacché sostanzialmente, proprio per quella sua genesi deforme, la Repubblica ha assistito ad identica confusione dei poteri nell’organo esecutivo.
Né è sufficiente spiegare che sono stati i partiti politici in verità, nella loro libertà, ad usare le Istituzioni politiche in modo così accentrato. Non possono essere giustificati per essersi cuciti, in Costituente, un abito su misura per la loro comodità autocratica. Se infatti si indulgesse alla constatazione che la forma di governo sia la mera proiezione della sostanziale conformazione partitica, si dovrebbe – coerentemente – abdicare ad ogni studio o teorizzazione di diritto costituzionale e di teoria e filosofia politica. Giacché le forme di governo del diritto costituzionale, sono essenzialmente regole di relazione tra poteri che esercitano le diverse funzioni politiche di una democrazia liberale. Se gli attori-partiti scelgono di eludere (come avvenne nel 1947), od addirittura cancellare (come sembra profilarsi nel 2014-15), tali regole formali, svuotano sostanzialmente il senso della democrazia liberale, riunendo in un solo organo le varie funzioni politiche, così ricostituendo il dispotismo assoluto.
Riporto, come punti fermi, alcuni principi e procedure da garantire in Costituzione:
1) affrancazione del Parlamento, nell’indirizzo legislativo, dalla dipendenza al Governo (anche attraverso la frammentazione dell’indirizzo legislativo e quindi la differenziazione degli indirizzi legislativi, su ogni singola questione, favorendo con ciò la qualità del lavoro parlamentare e la serietà dell’azione di governo);
2) garanzia del rispetto della funzione della legge (ovverosia, evitare che la legge tratti materie per le quali non sia adatta una normazione di rango primario, ovvero sia proprio inconferente una qualsivoglia normazione);
3) mantenimento della possibilità di una ampia discussione politica preliminare ad una eventuale crisi di governo, che la accompagni, e che possa illuminare sulla volontà ed intenzione delle forze politiche di risolverla;
4) garanzia del controllo sulla esecuzione delle leggi (che si deve concretizzare in tutta una congrua serie di atti regolamentari e di amministrazione, a vari livelli della Amministrazione dello Stato e degli altri enti pubblici).
Si dovrebbe fissare in Costituzione un sistema di scrutinio e circoscrizione per ognuna delle Camere, distinguendo così una Camera con premio di governo (Camera dei deputati), da una Camera proporzionale politica (Senato della Repubblica).
La Camera potrebbe essere eletta con sistema elettorale proporzionale di circoscrizione, ad effetto maggioritario per via dell’assegnazione di un premio variabile che consenta di raggiungere il 54% dei seggi (legislatura di 4 anni). I deputati sarebbero eletti in circoscrizioni plurinominali, con la possibilità per l’elettore di esprimere una preferenza. L’attribuzione dei seggi avverrebbe con scrutinio proporzionale, salvo che la lista, o la coalizione di liste, vincitrici non abbiano raggiunto il 54% dei seggi. In tale caso si attribuirebbero comunque ai vincitori il 54% dei seggi, ed il restante 46% verrebbe assegnato alle altre liste/coalizioni secondo criterio di ripartizione proporzionale. Sarebbe previsto uno sbarramento per liste/coalizioni del 4% su base nazionale. I voti delle liste coalizzate che non superino lo sbarramento non verrebbero conteggiati alla rispettiva coalizione.
Tale sistema proporzionale corretto con premio di maggioranza garantisce sicuri e predeterminati effetti di creazione e stabilizzazione di una maggioranza parlamentare ad inizio di legislatura (che non si ottengono con il collegio uninominale ad un turno, ovvero due), e contestualmente una sicura e predeterminata rappresentanza delle minoranze (il 46 % dei seggi è qualcosa di più di un diritto di tribuna), purché abbiano una consistenza significativa nel paese. In aggiunta alla possibilità di una preferenza, si potrebbe prevedere l’espressione contestuale di un secondo voto sulla scheda che permetta effetti di concentrazione dei suffragi (mescolando insieme la funzione del voto alternativo e del voto trasferibile).
Il Senato potrebbe essere eletto con sistema di scrutinio proporzionale (legislatura di 5 anni; ovvero continua con rinnovi parziali, in parallelo con i rinnovi dei consigli delle regioni). L’elezione potrebbe essere diretta, ovvero potrebbe avvenire attraverso l’elezione dei consiglieri regionali. Nel secondo caso la legge elettorale per l’elezione dei vari consigli regionali dovrebbe essere fissata univocamente in Costituzione. Essa dovrebbe prevedere un impianto di base sostanzialmente proporzionale, con possibilità di un voto di preferenza, assenza delle coalizioni, assenza di qualsiasi sbarramento per partecipare alla assegnazione dei seggi. Non vi è alcuna differenza nella legittimazione democratica rispetto a candidati eletti nelle circoscrizioni regionali direttamente per il Senato. Se, infatti, il corpo elettorale è analogo, ed analogo è lo scrutinio, si tratta solo di un passaggio attraverso una etichetta intermedia di “consigliere regionale”. Certamente, però, si deve poi tutelare lo status parlamentare dei consiglieri regionali divenuti senatori (sia qualora individuati in un listino a parte sulla stessa scheda elettorale per l’elezione dei consiglieri regionali; sia qualora indicati successivamente nel seno dei gruppi consiliari secondo proporzionalità rispetto alla loro consistenza): perché non dipendano, in alcuna forma, dal consiglio regionale, né dai rispettivi gruppi consiliari, né dal presidente regionale.
La Costituzione potrebbe anche fissare il numero dei membri degli stessi consigli (ad esempio, 30 consiglieri regionali per ciascuna regione).
Per quanto riguarda la garanzia della stabilità degli esecutivi regionali (venendo a cadere sia il premio maggioritario alla lista che appoggia il presidente regionale risultato vincitore; sia la possibilità dello scioglimento anticipato del consiglio regionale, dato il nesso inscindibile con l’elezione dei consiglieri regionali membri del Senato), potrebbe prefigurarsi l’introduzione di elementi del sistema costituzionale puro, analoghi a quelli prospettati per il sistema nazionale (ad esempio, durata fissa del presidente e della giunta regionale, assenza di vincolo fiduciario, durata fissa dei consigli regionali).
Non dovrebbe essere possibile lo scioglimento anticipato delle Camere.
La Camera dei deputati potrebbe nominare/eleggere il Presidente del Consiglio dei ministri, il cui mandato potrebbe durare due anni, sulla base di un nome od entro una rosa di nomi che gli siano sottoposti dal Presidente della Repubblica, dopo le consultazioni successive ad elezioni politiche. Diverrebbe Presidente del Consiglio dei ministri il candidato che conseguisse più voti e che comunque raggiungesse la maggioranza assoluta. Analoga procedura si attiverebbe alla fine del mandato biennale, ovvero successivamente allo scadere del termine imposto alla Camera, con la posizione della questione di fiducia, per la conclusione dell’esame di un atto, rientrante tra quelli per i quali fosse ammessa.
Per quanto riguarda la competenza legislativa, essa potrebbe suddividersi in tre aree predeterminate, enucleate espressamente e dettagliatamente: una paritaria, e due esclusive di ciascuna Camera. Intersecherebbe le due competenze esclusive, una quarta area, variabile e dinamica, che vedrebbe, volta a volta, la prevalenza di una delle due Camere. Questa quarta area risulterebbe costituita dai disegni di legge che toccano varie materie di competenza esclusiva e dell’una Camera e dell’altra. La loro individuazione e la decisione sull’assegnazione prevalente spetterebbe insindacabilmente alla riunione comune dei due Consigli di presidenza delle Camere (che dovrebbero essere di pari composizione numerica), che deciderebbero a maggioranza semplice. Tale riunione potrebbe anche decidere che un disegno di legge sia esaminato in posizione paritaria dalle due Camere. Frequentemente, quindi, le materie di competenza esclusiva di una Camera non sarebbero però assegnate al suo esame esclusivo.
Si predispone così, nell’ottica del superamento del bicameralismo rigidamente perfetto, una assegnazione dinamica tra le Camere sulla base di un giudizio politico di ponderazione. La procedura potrebbe favorire, nei rapporti di prevalenza, la Camera dei deputati, che gode della sovra-rappresentazione/creazione di una maggioranza parlamentare che esprime il Governo. Si potrebbe infatti stabilire, nelle materie di prevalenza di ciascuna Camera, una diversa maggioranza necessaria per imporsi sulle singole parti controverse (e non in generale sull’intero testo). Alla Camera potrebbe bastare la maggioranza assoluta, mentre al Senato potrebbe essere necessaria quella dei tre quinti dei membri.
Nel dettaglio.
La funzione legislativa sarebbe esercitata, disgiuntamente e su di un piano di parità, dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione, le altre leggi costituzionali, le leggi di rango superiore alle ordinarie, le leggi elettorali e per tutte le leggi necessarie al funzionamento degli organi costituzionali dello Stato. Nelle materie paritarie, l’esame in prima lettura, potrebbe avvenire indifferentemente nell’una Camera o nell’altra. Varrebbero gli iter rafforzati eventualmente previsti per alcune materie, e non vi sarebbero limiti alla navette.
La Camera avrebbe competenza legislativa esclusiva su leggi di stabilità, di bilancio e tributarie, ed in generale nelle materie non riservate alla competenza legislativa esclusiva del Senato.
Il Senato avrebbe competenza legislativa esclusiva per le seguenti materie:
a) affari esteri, includendo le leggi di ratifica di trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi;
b) affari dell’Unione europea, includendo l’adeguamento/recepimento del/nell’ordinamento interno della/alla normativa dell’Unione, e le leggi di ratifica o di revisione dei trattati tra l’Italia e gli altri membri;
c) fonti di energia ed approvvigionamento energetico;
d) politiche in materia agricola, boschiva e della pesca;
e) politiche in materia ambientale, di smaltimento dei rifiuti, e di gestione del territorio;
f) politiche in materia di assetti urbanistici e rurali;
g) politiche in materia di salvaguardia dei beni culturali, artistici, storici, ambientali, e di loro promozione a scopi turistici;
h) coordinamento della legislazione statale con quella regionale (ove residualmente mantenuta);
i) tutela dei diritti civili, politici e sociali;
l) difesa, stato di guerra e conferimento al Governo dei poteri necessari.
Ogni disegno di legge presentato ad una Camera sarebbe preliminarmente esaminato dal suo Presidente, ai fini della sua ammissibilità secondo il criterio della competenza per materia. Quando un determinato disegno di legge interessasse diverse materie, rientranti nella competenza esclusiva dell’una e dell’altra Camera, scioglierebbe le incertezze la riunione comune dei due Consigli di presidenza.
Nelle materie di sua prevalenza, ogni Camera esaminerebbe sempre per prima il testo. Essendo prevista una sola navette, l’iter si concluderebbe definitivamente, nella terza lettura, se il contrasto con la Camera soccombente venisse superato attraverso le maggioranze previste. Diversamente, il disegno di legge non verrebbe approvato. I regolamenti delle due Camere potrebbero prevedere modalità per stralciare ed approvare separatamente l’insieme delle parti non controverse, purché, così estrapolate dal contesto normativo originario, costituiscano comunque un corpo normativo a sua volta coerente ed omogeneo.
In generale, si svincolano reciprocamente la funzione di indirizzo legislativo e la funzione legislativa.
Come prima cosa, si responsabilizza la maggioranza parlamentare della Camera alla approvazione della legislazione che l’Esecutivo considera adeguata a sostenere la sua azione di governo, anche dandoLe il potere di imporre una stretta tempistica al Senato. Infatti, la Camera potrebbe indirizzare una mozione (senza alcun atto formale da parte del Governo) al Senato per obbligarlo alla procedura di urgenza (come disciplinata nel regolamento del Senato stesso) nella trattazione di un disegno di legge, restando comunque la Camera alta libera nel merito. Questa facoltà non sarebbe ammessa sui disegni di legge all’esame esclusivo del Senato o di competenza paritaria delle due Camere, mentre lo sarebbe sia per quelli a competenza soccombente sia per quelli a competenza prevalente dello stesso Senato. Trascorso il termine, senza che questo si sia pronunciato definitivamente in alcun senso, decadrebbe dalle sue prerogative sullo specifico disegno di legge, che diverrebbe definitivo nel testo trasmesso dalla Camera. Nel caso di prima lettura del Senato, il testo presentato verrebbe trasmesso alla Camera, che sarebbe libera di modificarlo ed approvarlo in via definitiva.
Si estromettono, pertanto, diverse materie legislative alla “influenza” governativa, creando una, seppur parziale, divisione dei Poteri. Questo vale sia per le mozioni procedurali appena accennate provenienti dalla Camera, sia per i decreti-legge (e relativi disegni di legge di conversione), sia per i disegni di legge di delega (e conseguenti schemi di decreti): nessuno di questi è ammesso per le materie a competenza paritaria od all’esame esclusivo del Senato.
Il Governo conserverebbe la possibilità di emanare decreti legge (con la consueta durata di 60 giorni), nel nuovo contesto di rapporti asimmetrici tra le Camere. I disegni di legge di conversione sarebbero retti dai generali criteri di suddivisione delle materie, e senza alcuna navette. La decretazione su materie a prevalenza della Camera comporterebbe che l’inizio dell’esame del relativo disegno di legge di conversione debba avvenire presso il Senato. Se Esso non si pronunciasse definitivamente entro 30 giorni, decadrebbe dalle sue prerogative, ed il testo che passasse alla Camera sarebbe quello del Governo. Sulle materie a prevalenza Senato, si invertirebbe l’iter. Comunque sia, trascorsi inutilmente 60 giorni il decreto decadrebbe senza possibilità di reitera. La Camera prevarrebbe comunque sul Senato, sulle singole parti controverse (e non in generale sull’intero testo) con un voto a maggioranza assoluta.
L’utilità, quindi, per il Governo di normare per decreto-legge, pur nei limiti e nei casi previsti in Costituzione, sarebbe quella di far rifluire nella competenza prevalente della Camera anche materie che, se affrontate con un semplice disegno di legge, sarebbero assegnate alla competenza prevalente del Senato.
Non potrebbe essere posta la questione di fiducia sul disegno di legge di conversione (cosa che, a costituzionale vigente, costituisce la più grave anomalia istituzionale).
Il Governo potrebbe occupare contemporaneamente il lavoro delle Camere con non più di cinque disegni di legge di conversione di decreti legge. Non appena il numero dei disegni di legge di conversione di decreti legge all’esame delle Camere scendesse, il Governo potrebbe emanare – corrispondentemente – ulteriori decreti legge.
Le leggi di delega legislativa al Governo sarebbero rette dai generali criteri di suddivisione delle materie. Ciò non varrebbe invece per i conseguenti schemi di decreto legislativo delegato (ancorché derivanti da legge di delegazione esaminata in via esclusiva dalla Camera), che dovrebbero essere comunque esaminati dal Senato. Si tratta infatti del livello più alto di controllo della esecuzione delle leggi: quello sugli atti regolamentari delegati. E su ciò il Senato avrebbe un ruolo significativamente prevalente.
Sugli schemi di decreto, solo il Senato potrebbe acquisire i pareri dai seguenti organi:
a) Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
b) Conferenza Stato-Città ed autonomie locali;
c) Conferenza unificata.
In caso di disaccordo tra i pareri espressi dalle Camere, il parere del Senato inibirebbe la promulgazione di disposizioni, anche non normative, aventi contenuto non conforme.
Si libera, quindi, il Parlamento dal condizionamento dell’Esecutivo, incoraggiando quest’ultimo a svolgere le sue funzioni senza abusare della legislazione (e senza vanificare la gerarchia delle fonti, tradendo la natura dell’atto di normazione).
Ciò vale soprattutto, dulcis in fundo, per la questione di fiducia: il Governo non potrebbe più forzare la mano del Potere legislativo con il ricatto della questione di fiducia. Essa sarebbe ammessa solo su atti non normativi in discussione presso la Camera, e su disegni di legge al suo esame esclusivo; verrebbe invece inibita per:
1) disegni di legge di natura sovraordinata all’ordinaria, e, più in generale, per quelli a competenza paritaria delle due Camere;
2) disegni di legge all’esame esclusivo del Senato, ovvero a sua competenza soccombente o prevalente, nonché per qualsiasi atto non normativo al suo esame;
3) disegni di legge di conversione di decreti-legge (anche quando all’esame esclusivo della Camera).
Sarebbe altresì esclusa, alla Camera: su proposte di inchieste parlamentari, modificazioni del Regolamento e relative interpretazioni o richiami, autorizzazioni a procedere e verifica delle elezioni, nomine, fatti personali, sanzioni disciplinari ed in generale su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno della Camera.
Il Presidente del Consiglio potrebbe porre la questione di fiducia esclusivamente sulla procedura, obbligando la Camera ad un voto finale a una data fissa (a prescindere dal merito), predeterminata dal suo regolamento. Nel caso il termine scadesse senza alcun voto finale, l’Esecutivo dovrebbe dimettersi. Si avanza (inverando principi generali sottesi alla Costituzione, ed ereditati dallo Statuto) una formalizzazione della questione di fiducia più rispettosa dell’originario modello britannico appena emulato nel 1848-49. Così modificata essa si riduce in una “corsia preferenziale” che obbliga alla mera istruttoria tecnica e conclusione dell’esame dell’atto; analogamente a quanto accade per le mozioni procedurali indirizzate dalla Camera al Senato, che, non a caso, possono intervenire sulle materie di competenza prevalente o soccombente del Senato, precluse alla questione di fiducia. La discussione politica sulla permanenza della fiducia al Governo non è più ammessa alla Camera bassa, bensì essa è riservata all’Aula del Senato della rappresentanza politica proporzionale. Tale discussione, potrebbe anticipare ed accompagnare una eventuale crisi di governo, ed avrebbe il notevole pregio (altrimenti smarrito) di illuminare circa la volontà ed intenzione delle forze politiche di risolverla. Inoltre, il Senato potrebbe approvare mozioni, indirizzate alla Camera bassa, aventi indicazioni sul merito dell’iter su cui è stata posta la fiducia a data fissa.
Per elezioni comuni (Presidente della Repubblica, membri della Corte Costituzionale, membri del CSM, ecc.), potrebbe lasciarsi tutto come è; quindi, nella seduta comune, il Senato proporzionale attenuerà la sovra-rappresentazione della maggioranza governativa realizzata con il premio alla Camera.
Esclusivamente presso la Camera, in qualunque fase dell’esame/entrata in vigore/vigenza di un disegno di legge (anche se è/è stato all’esame esclusivo del Senato), anche precedentemente all’assegnazione alle commissioni competenti, ed anche successivamente alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, su richiesta di una minoranza qualificata dei suoi membri (40-45%), potrebbe essere sollevato davanti alla Corte costituzionale, uno specifico conflitto tra poteri (per invasione della funzione legislativa del Parlamento), quando il disegno di legge abbia contenuti non propri di una legge (ad esempio, interventi ad hoc, provvedimenti amministrativi specifici, ecc.). Chiaramente, la valutazione di almeno il 40-45% dei parlamentari (sottoscrittori di tale ricorso) sarebbe una valutazione politica. Il giudizio giuridico costituzionale spetterebbe insindacabilmente alla Corte.
Esclusivamente il Senato:
a) esprimerebbe parere obbligatorio e vincolante sulle nomine (proposte dal Governo) degli ambasciatori, dei vertici degli enti pubblici, e dei vertici di società private controllate/partecipate, per cui è prevista la designazione da parte dello Stato;
b) esprimerebbe parere obbligatorio e non vincolante su tutte le altre nomine da parte dello Stato;
c) controllerebbe l’esecuzione delle leggi, anche attraverso poteri di indagine ed ispettivi delle proprie commissioni (anche permanenti), presso qualunque ufficio della Amministrazione pubblica (escludendo ovviamente il Potere giudiziario), avvalendosi di poteri analoghi a quelli dell’Autorità giudiziaria;
d) controllerebbe l’esecuzione delle leggi statali da parte degli enti territoriali sub statali;
e) svolgerebbe tutte le classiche – residue – attività di sindacato ispettivo (mozioni, interrogazioni ed interpellanze).
Tutto il disegno appena prefigurato ha una sua funzionalità a prescindere dai rapporti numerici tra le due Camere. Sarebbe comunque un miglioramento paretiano una riduzione del rapporto doppio/metà che caratterizza ora la relazione Camera e Senato.
Si segnala, in fine, come sia ancora moderno, efficiente ed assai preferibile il sistema norvegese corretto proposto in Costituente da Tosato e Mortati, anche e soprattutto rispetto alle proposte attualmente all’esame del Parlamento.
Scarica la versionein PDF pubblicata su Mondo Operaio Dicembre 2014
[1] F. Vinci, Omero nel Baltico, Roma, Palombi Editori, 2012.
[2] D. Argondizzo, 1945-1947. Il bicameralismo in Italia tra due modelli mancati: Congresso Usa e Stortinget, Quaderni della Rivista Il Politico, n. 59, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013.