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CAMERATA NEANDERTAL. LIBRI, FANTASMI E FUNERALI VARI – di ANTONIO PENNACCHI – ed. BALDINI E CASTOLDI
di Alessandra Stoppini da sololibri.net
“Il suo funerale, Ajmone Finestra se lo era preparato con cura. Era stato le notti intere, in ospedale, a svegliarsi ogni tanto di soprassalto dall’incipiente coma e svegliare quindi istantaneamente anche il povero Stefano Gori che insieme ai figli dormicchiava su una sedia”.
Libri, fantasmi e funerali vari è il sottotitolo di Camerata Neandertal (Baldini & Castoldi, 2014), ultimo romanzo dell’autore di Canale Mussolini, Premio Strega 2010, il quale riporta alla memoria i suoi personaggi più amati e cercati. Nato a Latina nel 1950 da una famiglia numerosa, figlio di coloni provenienti dall’Umbria e dal Veneto a causa della bonifica dell’Agro Pontino, “siamo venuti dal Veneto spinti dalla fame”, Antonio Pennacchi compie uno struggente Amarcord avendo come sfondo ideale i luoghi che l’hanno visto nascere, crescere, diventare adulto.
L’Agro Romano al tempo stesso ostile e benigno, luogo dell’anima, ideale e reale, amato e odiato.
“L’equilibrio idrogeologico dell’Agro Romano o Pontino è sempre stato assai precario e non per niente c’erano le paludi già nell’antichità: non nelle dimensioni assunte in seguito e fino alla bonifica fascista del Novecento, ma c’erano”.
La personalità di Pennacchi è contraddistinta da simpatia, carica umana e una vena polemica trascinante che ha sempre riversato nelle sue opere. Ex operaio a turni di notte in fabbrica fino a cinquant’anni, laureato in Lettere sfruttando un periodo di cassa integrazione e brillante scrittore, l’autore in questo romanzo autobiografico mescola sapientemente realtà e finzione letteraria rievocando i suoi personali fantasmi (persone, fatti, luoghi) con nostalgia ironica. È il caso del “Cranio del Circeo”, spunto per parlare del paleontologo Carlo Alberto Blanc, il quale nel 1939 a forza di ispezionare i mille cantieri di bonifica delle ex paludi, buttandosi su “ogni zolla, fosso o canale che venissero scavati”, aveva trovato tracce dell’uomo di Neandertal.
Attenzione:
“si scrive Neandertal senz’acca; chi ci mette l’acca sbaglia, perché è vero che c’era in antico, quando ne scoprirono i primi resti in Germania nel 1856 nella valle detta allora di Neandertal, vicino Dusseldorf. Ma nel tedesco moderno l’acca è caduta e non c’è più, è rimasta solo nelle declaratorie scientifiche”.
Il solerte Blanc dal fiuto pazzesco, “altro che Indiana Jones”, era convinto che sotto il promontorio del Circeo ci fosse qualcosa d’importante da scoprire e repertare. Infatti qualcosa c’era: il “Cranio del Circeo” ritrovato all’interno di una grotta chiamata in seguito “Grotta Guattari” dal nome del proprietario della pensione dove alloggiava l’archeologo.
“L’uomo di Neandertal era infatti considerato allora un parente molto stretto dell’Homo sapiens sapiens, cioè noi. Anzi, più che un parente era ritenuto una specie di nonno, un ramo genealogico da cui saremmo direttamente discesi o con il quale ci saremmo direttamente fusi”.
Era il 26 febbraio 1939 e quel cranio, diventato una celebrità, non poteva certo immaginare che pochi giorni dopo, le truppe tedesche sarebbero entrate a Praga e il 1° settembre avrebbero invaso la Polonia decretando l’inizio della II Guerra Mondiale. Il filo conduttore di Camerata Neandertal è la memoria, quella che per Pennacchi è indispensabile per comprendere se stesso, il suo Cursus honorum privato e professionale, che per l’autore sono la stessa cosa.
“Nel frattempo però – la vita cammina – lavoravo alla scrittura di Canale Mussolini, che dopo tanto tentennare avevo finalmente ripreso a luglio di quell’anno 2009. E stavo procedendo a tamburo battente. Ai primi di dicembre – mentre lo stavo terminando – muore però mio fratello Gianni”.
Una scrittura che non fa mai sconti a nessuno e dal sapore epico e non solo perché viene descritto quel Circeo dove “già duemila anni fa” secondo il racconto di Omero era transitato Ulisse il quale “non se la sarebbe passata tanto bene. O meglio, lui per sé l’avrebbe passata anche benino: mangiava, beveva e copulava a più non posso con Circe alla faccia di Penelope, di cui s’era scordato”.
Da Mammut a Palude, dal Fasciocomunista a Canale Mussolini, tra libri, funerali e fantasmi vari, Pennacchi compone un vademecum irresistibile, comico, dolente e trascinante traendo ispirazione dal passato, dalla terra insalubre e ora sanata che si estende dal mare fino ai monti Lepini, dove tutto ha avuto inizio.
“Canale era storia loro in fin dei conti – di ognuno di loro – sangue e sudore, gioie e dolori. Molti più dolori che gioie in realtà. L’unica gioia il lavoro. La fatica. In mezzo al fango delle paludi da bonificare. Pagine intere di Canale Mussolini mi sono uscite piangendo. E pagine e pagine intere – si può dire – ho scritto sotto dettatura loro. Dei miei morti”.