Fonte: il Simplicissimus
Anna Lombroso per il Simplicissimus – 18 ottobre 2014
“Il motivo per cui è necessario che le unioni civili siano riservate solo alle coppie omosessuali è che non si deve fare confusione tra le esigenze di una coppia etero non sposata e quelle di una coppia gay o lesbica. La prima vuole vedersi riconoscere la propria relazione (per esempio, poter ottenere notizie dai medici in caso di malattia del partner) ma non vuole probabilmente altri diritti (e doveri) reciproci, altrimenti si sposerebbe. La coppia gay o lesbica, invece, anche ovemai desiderasse assumere pieni diritti e doveri reciproci, oggi non può”. Così Ivan Scalfarotto a conferma che dividere per meglio comandare è una pratica adottata anche da minoranze prima escluse e criminalizzate, appena entrano nel cono di luce del potere e ne sono irraggiate fino a convincersi di farne parte, così che ne mutuano modi e parole d’ordine, quelle della piccola o grande sopraffazione.
Di modo che i diritti, compreso quello fondamentale ad essere uguali nel rispetto delle differenze, sono sottoposti a esercizi divisivi e a gerarchie, così qualcuno può essere più uguale e quindi superiore, così di alcuni bisogni si riconosce la legittimità, altri sono assimilati a capricci, anche se attengono invece alla sfera delle convinzioni, dell’autodeterminazione, della libera espressione di pensieri e principi. Delle quali fa parte ad esempio l’idea che pur nel rispetto dello stato di diritto, certe regole giuridiche, espressione di ideologie o di valori religiosi assurti a etica pubblica, abbiano espropriato i cittadini di iniziativa e libertà di scelta. Che si tratti di puri vincoli e non di consolidamento di spazi di opportunità e godimento di prerogative. In quanti casi, in questi anni, abbiamo sentito a proposito della vita e della morte, della nascita e della malattia, del generare o del non generare che ci veniva imposta una nuova e inviolabile legge naturale, di incontrollata potenza, quella del mercato con la sua pretesa di incorporare il riconoscimento dei diritti, con la sua violazione di principi primari, in primo luogo quello di uguaglianza.
Qualcuno ha detto che i diritti spettano all’individuo come persona prima ancora che come cittadino, includendo ogni individuo, rispettando ogni inclinazione, ogni personalità, ogni bisogno, che non siano lesivi di altre aspirazioni, altre necessità, altre libertà.
È una ferita ai principi di umanità, civiltà, democrazia trasformare il torto subito in strumento di divisione, in arma per creare differenze o per usarle come riconoscimento di una superiorità che deriva da sofferenze patite. C’è una orrenda persuasione, che chi ha subito un danno diventi invincibile e crudelmente ferino perché sa di poter sopravvivere. Sarebbe invece bello, giusto, sano che chi ha subito oltraggio, prevaricazione, emarginazione abbia una più matura e equa convinzione della irrinunciabilità alla pari dignità per tutti, all’uguale inviolabilità della propria persona e dei suoi diritti, che possieda una più forte e inattaccabile comprensione e un più potente e generoso rispetto per i bisogni collettivi e individuali.
Mi permetto una considerazione personale: sono stata costretta al matrimonio dopo una lunga convivenza proprio per offrire insieme ad amore ed affetto, anche solidarietà, cura, vicinanza altrimenti interdette al compagno di una vita, con il quale non avevo contratto matrimonio per non affrontare un iter di scioglimento di un precedente vincolo particolarmente burrascoso. Ma anche perché eravamo ambedue persuasi che quel patto che ci legava – e sbagliavamo – avesse un valore superiore a qualsiasi contratto, sancito o no dal diritto canonico e che un rito, solo apparentemente laico e molto mondano, non potesse aggiungere responsabilità o saldezza alla nostra unione. Eppure abbiamo partecipato sapeste a quante liste da Limentani o Richard Ginori, a quanti ricevimenti noiosissimi, ed anche a quanti lutti per rissosi e tormentati divorzi, proprio in nome di quella laicità che dovrebbe mettere tutti in condizione di esprimere a loro modo affetto, assistenza, speranza e aspettativa di vita insieme, comunanza, allegria dello stare in due, quale che sia la sua religione, inclinazione sessuale, ideologia.
Si vede che anche chi ha vissuto la discriminazione subisce il fascino dell’ammissione ai nuovi e vecchi conformismi, si converte alla necessità della propaganda, asseconda l’iniquità come sistema di governo, abbraccia le fede del corporativismo, purché, naturalmente, sia fidelizzato, annesso, tanto da diventare un simbolo spendibile in campagna elettorale, strumento di distrazione per l’opinione pubblica, figurina nel presepe delle poche concessioni arbitrarie offerte a alcuni in cambio di mostruose cancellazioni di prerogative e diritti di tutti.
Qualcuno di quei sacerdoti della repressione dice di opporsi alle unioni omosessuali perché sarebbero il grimaldello per “appropriarsi” di altro, adozioni, uteri in affitto. C’è la speranza che tutti e in prima linea gli omosessuali, controbattano a queste accuse, chiedendo il riconoscimento delle unioni civili per tutti, omosessuali o eterosessuali, e allo stesso modo il matrimonio per omosessuali o eterosessuali, confetti compresi, se lo vogliono. Perché quello sì, sarebbe un grimaldello per opporsi alla lesione, confessionale o di regime, di diritti, leggi, conquiste che credevamo acquisite e che vengono ogni giorno ridotte, nel lavoro, nel corso di tutte le nostre esistenze, nelle nostre speranze.