Mariam e la festa in tenda: uccisa con la sua famiglia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Aya Ashour
Mariam e la festa in tenda: uccisa con la sua famiglia
Ricordate di Mariam Hassouna? Lasciate che vi parli di lei. Mariam avrebbe dovuto compiere tre anni quest’anno. Ha festeggiato il suo primo compleanno il 20 dicembre 2023, nel campo profughi di Nuseirat, dove io e lei eravamo sfollati in una scuola trasformata in rifugio nel centro di Gaza. Era la terza volta che doveva fuggire da casa sua. Io ho incontrato per la prima volta Mariam e la sua famiglia il 18 ottobre, nella mia città natale, Al-Mughraqa. Erano fuggiti dal quartiere di Al-Shuja’iyya, nella parte orientale di Gaza City. Li avevo intervistati nei primi giorni della guerra per un articolo. Allora vivevo ancora a casa mia, non sapevo ancora cosa significasse venire sfollati.
Le nostre strade si sono incrociate di nuovo il 30 ottobre, a Nuseirat dov’era fuggita la mia famiglia. Mariam e i suoi erano stati costretti a spostarsi da una scuola all’altra, noi avevamo dovuto abbandonare casa nostra. Quel giorno cercavo un’aula in cui rifugiarmi, ma ogni stanza era già piena di sfollati. Fatima, la nonna di Mariam, ci invitò a condividere il loro spazio. Così siamo finiti a vivere insieme: tre famiglie stipate in un’aula, separate solo da una tenda sottile.
Abbiamo sopportato il freddo insieme e mi sono abituata a sentire le risate e i pianti di Mariam giorno e notte. Mia madre e mia nonna la adoravano. Una mattina la nonna di Mariam mi disse che mancavano pochi giorni al suo primo compleanno: era la sua prima nipote, desiderava tanto festeggiarla, ma in guerra non ci sono né torte né candeline. Decisi di aiutarle, nonostante tutto.
Setacciai il mercato, trovai farina, cacao e latte, due cucchiai di zucchero. Sostituii il lievito con l’aceto e feci una torta senza uova. La preparai con mia sorella Noor su una fiamma viva, usando una padella invece di una teglia, trasformammo le piccole candele che usavamo per illuminarci di notte in candeline. Mia sorella minore Jana chiamò a raccolta gli altri bimbi sfollati della scuola. Non dimenticherò mai lo sguardo scioccato della madre di Mariam quando ha visto la sorpresa. Sono entrata con la torta, con dietro un coro di bambini che cantava “buon compleanno, Mariam”. La nonna piangeva e cantava. Per molti di noi quello era il primo sorriso che facevamo da mesi.
L’altro giorno mia madre mi ha informato che Mariam se n’è andata. Ci ho messo un po’ per capire: lei e tutta la famiglia sono stati uccisi in un bombardamento che ha colpito casa loro a Al-Shuja’iyya. L’unica sopravvissuta è la zia 15enne, Asmaa.
Mi fa male al cuore ricordare Mariam. Le portavo latte, pannolini, vestiti, cibo e donazioni che ricevevo per aiutare le famiglie sfollate. Ricordo che andai a trovarli nella loro tenda quando siamo stati sfollati a Rafah. Sua nonna mi tagliò i capelli, lì. Ricordo di averli chiamati quando ci siamo spostati a Khan Younis, ricordo l’ultima conversazione con suo zio Amer, che mi ha chiamato dopo il cessate il fuoco per sapere se stavamo bene. Ricordo di aver incontrato l’altro zio, Ahmed, una settimana fa nel nord di Gaza, quando sono andata a trovare mia nonna.
Mariam è morta perché il mondo non l’ha vista, come non ha visto gli oltre 300 bambini uccisi a Gaza negli ultimi giorni. È sopravvissuta al genocidio una volta, non la seconda. La storia di Mariam, come tante altre, non è stata raccontata perché il mondo ha scelto di metterci a tacere. Chi riporterà indietro Mariam? Chi ricorderà la sua famiglia? Chi consolerà l’unica sopravvissuta?
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