Meloni, il passato comodo alibi per sfuggire alla realtà. la classe dirigente italiana si accapiglia sulla Seconda Guerra Mondiale, mentre si rischia la Terza. Mentre la politica, quella che rischia di metterci nell’angolo come Paese, la fanno altri. Altrove

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro De Angelis
Fonte: La stampa

Meloni, il passato comodo alibi per sfuggire alla realtà. la classe dirigente italiana si accapiglia sulla Seconda Guerra Mondiale, mentre si rischia la Terza.

Mentre la politica, quella che rischia di metterci nell’angolo come Paese, la fanno altri. Altrove.

Non è la prima volta che accade questo: nel discorso in vista del Consiglio europeo Giorgia Meloni assume un tono prudente, istituzionale, senza picchi. Poi, nelle repliche, si libera dai freni inibitori. Ci si potrebbe affidare alla spiegazione psicologica di un inconscio a fatica represso. Oppure – più probabile – alla tesi del format perfettamente voluto: tanto più è costretta al vincolo esterno (sulle armi, in fondo, ha detto sì e sull’Ucraina non ha ceduto), tanto più deve regalare poi, a mo’ di compensazione, un po’ di sangue alla curva. Sia come sia, questa volta ad equilibrismo estremo e quasi noioso al primo giro, ha corrisposto una provocazione altrettanto estrema al secondo sul Manifesto di Ventotene, presentato quasi come un inno al socialismo reale.

Provocazione piuttosto ardita sia rispetto alla verità della storia e anche all’opportunità istituzionale. Giova ricordare che è dedicata ad Altiero Spinelli un’ala del Parlamento europeo, in omaggio alla sua vita spesa per la costruzione di un’Europa libera, unita, democratica, fondata su quei valori della persona umana che il fascismo aveva represso. Sono proprio queste le parole utilizzate da Sergio Mattarella, durante un incontro con gli studenti in occasione dell’ottantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene, quando lo definì una «lezione senza scadenza e senza tempo, che parla anche a noi con grande attualità». Insomma, maramaledeggiare su Spinelli prima di un pranzo al Quirinale e di un vertice europeo è un po’ come bestemmiare prima di una visita a San Pietro.

In fondo, però, per Giorgia Meloni è tutto perfetto: la rottura del galateo è funzionale a rinverdire il mito della sua diversità; l’euroscettismo è utile a non perdere il monopolio dell’immaginario sovranista, su cui avverte la sfida di Matteo Salvini che insiste sul no alle armi; la gazzarra successiva è utile per rimuovere l’oggetto della discussione, e cioè il ruolo (debole) del governo italiano in Europa sul terreno della difesa e della sicurezza. Hanno ragione le opposizioni nel merito storico però, in definitiva, anche per loro il “caso Spinelli” diventa l’occasione per assecondare una fuga, per quanto nobile, dalla realtà, coprendo le divisioni progettuali sul vero terreno della contesa.

Il meccanismo è rivelatore di una classica trappola delle identità: la discussione, in Europa, è sulla sua sfida esistenziale, ovvero su come, finita l’era della sicurezza gratis, esercitare un ruolo di deterrenza per contare qualcosa nel mondo. Sono temi impegnativi, non a costo zero in termini di consenso. Rifugiarsi nel passato è un modo per fare i conti con l’assunzione di responsabilità del qui e ora, anteponendo la comfort zone dell’identità e delle proprie bandiere. Tutto questo racconta di una estrema fragilità del sistema Paese di fronte alla posta in gioco. In Francia, ad esempio, Marine Le Pen ha assunto una postura critica su Trump perché ha capito che non può lasciare a Macron il “Francia First”, inteso come orgoglio nazionale di fronte al disimpegno e all’aggressività americana. In Germania un Parlamento pressoché sciolto ha votato col consenso delle principali forze politiche a favore della riforma che consente di fare debito investendo centinaia di miliardi di euro in spese militari e infrastrutture. Qui nulla scalda più delle polemiche sulla storia.

Morale della favola: la classe dirigente italiana si accapiglia sulla Seconda Guerra Mondiale, mentre si rischia la Terza. Mentre la politica, quella che rischia di metterci nell’angolo come Paese, la fanno altri. Altrove.

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