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7 MINUTI – di STEFANO MASSINI – ed. EINAUDI
Una vecchia e gloriosa azienda tessile viene comprata da una multinazionale. Sembra che non si preparino licenziamenti, operaie e impiegate possono tirare un sospiro di sollievo. Però… Però c’è una piccola clausola nell’accordo che la nuova proprietà vuole far firmare al Consiglio di fabbrica. Chiuse in una stanza a discutere, undici donne dovranno decidere se accettare la riduzione di sette minuti della pausa pranzo. Sette minuti sembrano pochi e la delegata del Consiglio di fabbrica all’inizio è la sola ad avere dei dubbi. Ma a poco a poco il dibattito si accende e ognuna delle donne dovrà ripercorrere pubblicamente la propria vita prima di arrivare al voto.
L’originale percorso di Stefano Massini nei territori del teatro politico e sociale lo riporta, in questo caso, sui binari di uno schema classico basato su un fitto dialogo a molte voci in una scena fissa. Il modello potrebbe essere quello di La parola ai giurati, un famoso film scritto da Reginald Rose e diretto da Sidney Lumet. Come in quel film i componenti della giuria rappresentavano uno spaccato della variegata società americana degli anni Cinquanta, cosí in 7 minuti emerge la complessità della società europea di oggi (la pièce è ambientata in Francia, dove è avvenuto il fatto di cronaca da cui Massini prende spunto): le undici protagoniste sono diverse per età, provenienza, esperienze di vita, paure e ossessioni; alcune piú conformiste altre piú ribelli. Ma competizione generazionale e competizioni etniche sono alla fine guerre fra poveri al cospetto di un «padrone» sempre piú anonimo, cinico ed esigente col quale, volenti o nolenti, tutti prima o poi devono fare i conti.
recensione di di Peter Kammerer da l’Indice dei libri
I grandi momenti dell’economia politica non sono quelli dei modelli matematici raffinati, magari premiati con un Nobel, ma quelli che ci spiegano i grandi paradossi economici con i quali siamo costretti a vivere. Nella crescita economica i ricchi diventano sempre più ricchi e – per legge economica che oggi detta più legge di qualsiasi altra – i poveri non riescono nemmeno a tenere il passo. What’ s wrong? Altri paradossi riguardano il lavoro: Il fatto che si debba lavorare meno mentre la produzione aumenta, finisce per essere una pessima notizia. Gli “esuberi” perdono il loro reddito. Per gli occupati rimanenti spesso l’ orario di lavoro viene addirittura prolungato. La scoperta di paradossi di questo tipo gettò gli economisti classici (Townsend, Malthus, Ricardo) in un profondo pessimismo. Anche la letteratura reagì trattando stimoli e idee da questi nuovi misteri (Swift e Defoe con un certo sarcasmo). I romanzieri dell’ 800, Austen, Balzac e altri (come ha raccontato recentemente Piketty) fecero con grande precisione i conti in tasca ai loro eroi per poter serbarli dal destino del lavoro salariato, mentre nasceva tutta una letteratura di ispirazione sociale che rimpianse i poveri. Oggi i paradossi assurdi del nostro sistema economico vengono accettati come “naturali”, una normalità che fa piangere (perfino un ministro), ma non desta nessuna meraviglia.
Con “7 minuti” Stefano Massini è riuscito a portare in teatro un fatto normale facendoci meravigliare. Undici operaie tessili di un consiglio di fabbrica intorno a un contratto da rinnovare. L’ azienda va bene, è stata venduta, la nuova proprietà in cambio di una garanzia dell’ occupazione e dello stipendio propone alle maestranze di rinunciare a 7 minuti “dell’ intervallo pattuito in sede di contratto premiando lo sforzo della proprietà di venirvi incontro in questo delicato passaggio storico”. La prima reazione delle donne è un grande sollievo. Perfino un sentimento di gratitudine. Questa garanzia, la tranquillità di un lavoro e di uno stipendio, valgono il sacrificio di 7 minuti al giorno. Altre fabbriche chiudono, ma qui si continua a lavorare. L’ offerta va accettata subito. Solo Blanche, trent’ anni al telaio, ha una strana „sensazione alla bocca dello stomaco“. Vuole discutere, vuole vedere chiaro. “Perché ho sempre la sensazione che noi dobbiamo ringraziare? Non è uno scambio alla pari?”.
Non lo è. Tutte le donne lo sanno, anche se non hanno studiato l’ asimmetria di potere inerente al mercato del lavoro. Sentono il ricatto che su ciascuna pesa in modo diverso. Chi ha figli, chi un marito disoccupato, chi è giovane, chi immigrata. Tutte, meno Blanche, sono decise a firmare. “Ma se il lavoro lo perdessimo proprio votando sì?”. Il calcolo è presto fatto. Sette minuti di lavoro in più al giorno per 200 operaie vuol dire 600 ore di lavoro al mese. “E’ come se entrassero altre operaie” non pagate. Poi a qualcuno potrebbe anche venire l’ idea che così si crei un “esubero”. Le donne discutono malvolentieri, soprattutto perché hanno la sensazione che comunque non possono fare niente. Per ognuna la perdita di 7 minuti al giorno è accettabile ed è sempre meglio della perdita del posto di lavoro.
Ma dalla discussione reticente emergono una dopo l’altra le domande. “Noi ci teniamo il posto, va bene, loro si prendono sette minuti: fine della storia?” Quale sarà il prossimo sacrificio da fare? Che effetto avrà questo “sì” su altre fabbriche e altri contratti? Dopo anni di sacrifici non sarebbe meglio rischiare una volta un “no”? Fosse solo per dignità? “Loro non mi regalano niente, perché dobbiamo fargli regali noi?”. La risposta a ognuna di queste domande può costare l’ esistenza. Alle operaie, non ai manager, non alle “cravatte”. Il consiglio si spacca e probabilmente anche il pubblico si dividerà. Che cosa vogliamo di più da un testo teatrale?