di Alfredo Morganti – 20 luglio 2019
Conservo da 50 anni questo numero di Epoca del 10 agosto 1969. Ero un bambino allora, che seguì in diretta TV l’evento assieme a suo padre. Eravamo una generazione a cui insegnavano a scuola il progresso, la potenza delle grandi conquiste scientifiche e spaziali, l’idea che il futuro potesse essere davvero una grande avventura a lieto fine. Poi scoprimmo che le cose andarono diversamente, e che di lì a poco ci sarebbero stati l’autunno caldo, la crisi energetica, la strategia della tensione, il terrorismo. Ma sul finire di quegli anni sessanta io coltivavo ancora il mito di un mondo che sarebbe stato sempre migliore grazie alla scienza, alla tecnologia, all’intraprendenza dell’uomo, a una ottimistica visione del futuro.
Eppure la vita non era facile per una famiglia operaia di immigrati che viveva in una borgata di Roma tra privazioni e sacrifici. Stretti tra l’ottimismo delle grandi imprese umane narrate da TV, giornali e scuola, e il pessimismo della vita vera, milioni di uomini andavano avanti con fatica ogni giorno alla scoperta di un futuro che si diceva glorioso e che invece già arrancava. Il grande passo per l’umanità sarebbe stato pensare “al” futuro partendo dal presente di sofferenze, invece che pensare ‘il’ futuro nella forma del mito. Così non è andata. La tecnica ha preso possesso delle nostre idee e milioni di donne e uomini fuggono dalle loro case per la guerra, la povertà, la sofferenza, e trovano muri altissimi a rigettarli indietro. A pensarci bene, la Luna era qui sulla Terra, non lassù.