Fonte: Rassegna sindacale
Quando il politologo ignora la storia
di Michele Prospero 13 novembre 2014
Sul Sole 24 Ore, il politologo Sergio Fabbrini prova a dare una giustificazione teorica alla battaglia del governo contro la Cgil. Quella in corso è per lui una lotta per liberare l’Italia dalla “prigionia della guerra fredda”. I liberatori sono a Palazzo Chigi, dove opera “una sinistra liberale finalmente maggioritaria”, mentre i soldati di retrovia sono nel sindacato e nella sinistra Pd (cioè in “buona parte dei funzionari”, nota elegantemente Fabbrini). Costoro hanno una detestabile determinazione nel voler ancora “combattere la diseguaglianza”, e perciò meritano l’oblio.
Come è enfatico nel prendere parte a difesa del governo (e soprattutto del “primo ministro”, ma non si chiama presidente del consiglio?), così l’editorialista è povero nel conferire un qualche briciolo di fondatezza alle sue asserzioni. Il politologo ignora, o meglio capovolge del tutto, la storia quando afferma che, a partire dagli anni ’90, proprio il legame con la Cgil determina “la paralisi minoritaria della sinistra ovvero la sua sconfitta reiterata”.
Va bene fornire argomenti utili alla causa ideologica per cui si combatte, ma lo stravolgimento dei fatti non aiuta certo il nobil guerriero, anzi ne spezza ogni credibilità. Gli storici, che più dei politologi a tesi precostituite, stanno ai fatti, attribuiscono al ruolo del sindacato un posto ben diverso da quello ipotizzato sul foglio della confindustria. Proprio la riuscita dello sciopero generale dell’ottobre 1994, contro la riforma pensionistica varata da Berlusconi, provocò la caduta del governo. Mostrò infatti che “gli interessi economici del popolo delle partite Iva non coincidevano con quelli dei lavoratori dipendenti che avevano votato per il Polo” (A. Lepre, C. Petraccone, Storia d’Italia dall’Unità a oggi, Il Mulino, p. 378).
Dunque, non solo è falsa l’imputazione al sindacato della colpa di sconfitte reiterate (anche questa caricaturale descrizione della sinistra italiana, come mondo di reduci sempre perdenti, è semplicemente grottesca: in vent’anni ha vinto tre volte, al pari o anche di più di altre sinistre europee), ma è vero semmai il contrario. E cioè che le vittorie della sinistra sono connesse all’apporto del sindacato che, con le sue azioni per “combattere la diseguaglianza”, ha scompaginato la contraddittoria coalizione sociale edificata da Berlusconi e conquistato voti ai progressisti.
Anche la logica del politologo è piuttosto ballerina. Prima rimprovera la concertazione come un espediente per “tenere sotto controllo le contrapposizioni di classe”. Dopo però attacca il sindacato perché, con le sue idee, descrive il moderno come una “società di classe” e lancia “un istintivo sospetto” verso il mercato nell’inseguimento dei “diritti sociali a prescindere”. Oltre che la logica, Fabbrini non sopporta la sinistra politica e sindacale che adotta “gli stili di vita” del mondo del lavoro e pretende di conservare “una organizzazione coesa e introversa”.
In nome del sacro interesse generale, il decisionismo di Renzi che con la “vocazione maggioritaria” si scaglia contro le corporazioni di una “società chiusa”, viene lodato perché costruisce “una politica autonoma dagli interessi organizzati”. Che per Fabbrini sono però sempre quelli del lavoro, che ha solo dei “micro interessi”, e mai quelli dell’impresa che anzi è da santificare perché a fianco del gagliardo governo amico combatte la “società chiusa” (dai lavoratori!). Una politologia di classe.
Michele Prospero
Articolo apparso sul settimanale della Cgil “Rassegna sindacale”