di Antonio Gaeta – 16 maggio 2016
Tre eventi pressoché concomitanti hanno offerto alla mia mente molti motivi di riflessione, al punto da generare in me la necessità di esternare per iscritto alcuni di essi, sui quali mi piacerebbe confrontarmi con altre menti riflessive.
Il 1° é l’approvazione anche da parte del Senato (dopo la Camera dei Deputati) delle accuse contro la Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, giudicata degna di “impeachment”, in circostanze molto oscure e simili a quelle già applicate nei confronti della ex Presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner. Il giorno dopo la votazione del Senato qualcuno ha già tirato fuori dal cassetto un disegno di legge, sempre osteggiato dalla ex Presidente, in base al quale ciò che rimane delle grandi foreste amazzoniche scomparirebbe, per lasciar posto a vaste attività estrattive e conseguente desertificazione (cui abbiamo grande bisogno sul nostro pianeta).
Il 2° evento é l’ostinazione con cui il Presidente Hollande ha voluto l’approvazione della legge sul lavoro dipendente, ad imitazione di quella italiana, volta ad eliminare le garanzie dei lavoratori contro gli abusi e i soprusi dei datori di lavoro.
Il 3° é il potenziamento del movimento francese di opposizione, che ha deciso di lanciare una proposta di globalizzazione della protesta (Global Debout) contro l’oligarchia finanziaria mondiale e i suoi servitori politici d’ogni genere.
Leggendo su ‘Il Manifesto’ l’articolo di Saskia Sassen, intitolato “Le sanguisughe della ricchezza” (pubblicato il 14.05.16), ho maturato la convinzione che molte delle battaglie della “sinistra storica” contro il Capitalismo sono destinate all’insuccesso. Ho capito che non soltanto la “socialdemocrazia europea” é in evidente grave errore nella valutazione sulla natura del Capitalismo contemporaneo, bensì anche buona parte della cosiddetta “nuova sinistra”, che non a caso non trova ancora un comune denominatore: né in Italia, né in Francia, né in Germania. Attendiamo di verificare le sinistre spagnole e portoghesi, nonché le evoluzioni del Labour Party in Inghilterra.
Il grave errore che la “sinistra storica” europea (con in testa i sindacati) allo stato attuale dei fatti commette sembra essere quello di considerare le attività produttive generate dagli investimenti capitalistici il motore dello sviluppo economico-sociale, quindi culturale e democratico.
Questo perché per un certo periodo del XX secolo gli elevati investimenti pubblici e privati nel campo della produzione manifatturiera hanno alimentato la prosperità europea e nord-americana, generando un modello di benessere diffuso, caratterizzato dalla mediazione offerta dallo stato democratico nel conflitto tra le classi antagoniste. Per questo, tale modello é stato importato anche dall’America Latina e in misura più ridotta dall’Asia e da pochi Paesi dell’Africa.
In questo modello di mediazione sociale le pubbliche istituzioni statali hanno cementificato il concetto di nazione, facendo sì che divenisse forte garanzia ideale e ideologica, unificatrice di classi e ceti sociali all’interno dei singoli Paesi, nei quali le forze politiche rappresentative degli stessi (classi e ceti), pur nell’antagonismo tra loro potessero trovare regole comuni, stigmatizzate dalle singole Carte Costituzionali.
Oggi questo modello, fondato sullo sviluppo alimentato dal circuito “produzione-consumo – ampliamento base produttiva – aumento scambio internazionale merci e, quindi, conseguente ampliamento consumi e benessere generale” é sempre più affossato dai detentori dei grandi capitali, che preferiscono incrementare le loro enormi ricchezze, depredando le popolazioni di tutto il pianeta.
Essi lo fanno e intendono farlo ancora di più sia incrementando l’appropriazione di vastissimi territori, sui quali le comunità locali e i loro “rappresentanti istituzionali” non esercitano più alcun potere di controllo; sia imponendo a quest’ultimi la “privatizzazione” dei beni pubblici. Da qui il conseguente trasferimento di ricchezza da tutte le classi sociali a favore di una cerchia sempre più ristretta di grandissimi detentori di capitali, che estraggono (e concentrano) ulteriore ricchezza tramite il bluff dei mercati azionari e obbligazionari (borse valori).
Non a caso ciò su cui Saskia Sassen chiede di riflettere (e che da circa 2 secoli é sotto gli occhi di tutti gli osservatori economici internazionali) é la persistente e sempre più invadente attività estrattiva di ricchezza, che il “grande capitale” opera ai danni di tutta la popolazione mondiale.
Non si tratta soltanto del mai abbandonato “colonialismo” ! Oggi ciò che é sempre più evidente é l’azione capitalistica volta all’estrazione di ricchezza negli stessi Paesi, che in precedenza hanno anche beneficiato delle estrazioni operate ai danni del già cosiddetto “terzo mondo”.
Questo é reso possibile dal tipo di percorso di “finanziarizzazione” che ha intrapreso il Capitalismo globale. Si tratta sempre più di un percorso di “denazionalizzazione” e di totale autonomia rispetto alle istituzioni dei singoli Paesi. I trattati sul modello del TTIP costituiscono la più evidente conferma della grande trasformazione, che il Capitalismo occidentale e internazionale chiede, per rapinare ricchezza ovunque, senza confini e soprattutto senza regole ! La trappola per le classi politiche dirigenti é l’illusione dell’ampliamento dei mercati (o amplificazione dell’illusione liberista in campo economico e monetario, fatta passare come certezza di benessere diffuso). La sostanza é l’abdicazione delle istituzioni statali all’esercizio dei pubblici poteri, quale resa incondizionata a favore dei giganteschi interessi ultra-miliardari.
Qualcuno potrebbe dire che “scopriamo l’acqua calda”. L’accumulazione capitalistica da sempre é stata resa possibile grazie all’espropriazione di beni e di ricchezze naturali, ai danni di vaste popolazioni autoctone ! Inoltre, nella parola d’ordine “autogoverno” lanciata dal nuovo movimento Global Debout si riscopre ciò che l’analisi marxista ha sempre indicato come unica soluzione a disposizione delle masse diseredate.
Tuttavia, ciò che soprattutto di “buono” apporta questo movimento é la consapevolezza che i partiti socialisti (ex 2′ Internazionale) e neo-socialisti (ex 3′ Internazionale), con annessi seguaci sindacali, sono del tutto inadeguati nel tutelare qualsiasi livello di dignità democratica e sociale più in generale ! Questo perché essi restano ancorati a una visione delle strategie capitalistiche di stampo liberista, non volendo accettare la verità, che avanza di nuovo: ovvero la natura “predatoria” dell’accumulazione capitalistica !
Ciò che é sempre più evidente é la necessità di dotarsi di nuove forme organizzative, che mantengano inalterata la partecipazione popolare all’esercizio del possesso dei beni comuni. Necessità che non lascia più spazio alcuno alla “rappresentanza istituzionale”, tipica delle “democrazie occidentali”, a suo tempo fortemente volute dalle piccole borghesie nazionali, ora travolte dal grande capitale finanziario, che rinnega ogni istanza di tipo nazionale. Di fronte a ciò la risposta nazionalistica della destra politica mostra anch’essa l’assoluta incapacità di saper cogliere il presente.
Ciò che giustamente evidenzia Saskia Sessen é il forte impoverimento anche di una grande percentuale di ceti intermedi, che guardano con ammirazione quei pochi privilegiati dal grande capitale. All’interno dei ceti intermedi, infatti, la divaricazione sociale tra possessori di ricchezze superiori alle necessità e “defraudati” da queste stesse ricchezze é sempre più evidente ! Così come é sempre più evidente che il grande capitale si é servito dei suoi “servi sciocchi” in ambito istituzionale, permettendo di mantenere o aumentare il loro benessere sociale, purché imponessero regole (le leggi antipopolari) ispirate alla ulteriore ”estrazione” di ricchezza presso la gran parte della popolazione, ceti intermedi inclusi.
Questa devastante politica economica ha generato baratri sociali anche nell’ambito delle piccole borghesie occidentali, resi del tutto evidenti dalla grande sproporzione di benessere tra le generazioni: ovvero tra padri (del ceto medio) e figli e tra nonni e nipoti ! Per questo le nuove generazioni non hanno altro modo per riappropriarsi dei beni di cui sono stati espropriati che quello dello ”autogoverno” !
Per poter capire come gestire l’autogoverno é indispensabile considerare attentamente tutto ciò che ci porta ad approfondire una Storia molto antica: quella che inizia con le espropriazioni ad opera dei popoli patriarcali, poi proseguita dai loro discendenti con le grandi espropriazioni terriere e demaniali (usi civici collettivi), quali presupposti per la formazione della successiva “accumulazione capitalistica”. Di questo scriverò in un successivo articolo.